Nel caso di uscita conclamata di un paese dall’euro, sarebbe assai difficile evitare il crack del suo sistema bancario prosciugato di tutto il suo capitale dai prelievi dei depositanti. Unica soluzione: decretare per tempo la chiusura di tutte le banche. Un blocco che ovviamente dovrebbe durare il meno a lungo possibile, ma comunque compatibilmente con i tempi tecnici necessari a stampa e distribuzione della nuova moneta, fissazione delle nuove parità, ecc. ecc.
Ipotizzando che la non facile operazione riesca con minimi danni, si tratta ancora di fare i conti con il debito sovrano che è espresso in euro. Che fare? Rifiutarsi, puramente e semplicemente, di rimborsarlo? Concordare in qualche misura con i creditori un rimborso parziale, magari convertendolo nella nuova valuta? Preliminarmente bisogna vedere quanta parte del debito è in possesso di investitori nazionali e quanta parte di investitori stranieri. Si possono penalizzare entrambe le categorie allo stesso modo ma con effetti diversi. Lesinare il rimborso agli investitori nazionali significa tagliare i patrimoni (e ridurre i consumi con effetti depressivi) e in particolare mettere in difficoltà le banche locali tanto maggiore è la quota di titoli da esse detenuta.
Rinnegare il debito con gli investitori esteri crea ovviamente problemi “diplomatici” ma soprattutto rende assai più arduo e costoso ricorrere in seguito ai mercati internazionali per finanziare nuovo debito. In ogni caso c’è da mettere in conto che per parecchi anni (tra i cinque e i dieci, si stima solitamente) presentarsi sul mercato per piazzare nuovo debito sovrano sarà estremamente difficile e sicuramente si dovranno pagare spread notevolissimi.
Secondo Ubs il maggior interesse da pagare all’indomani dell’uscita si aggirerebbe attorno al sette per cento. Ma bisogna anche tener conto che non vi è solo il debito sovrano: le imprese del paese “periferico” che hanno contratto debiti all’estero in valute “forti” si troverebbero gravate da un macigno assai difficile da rimuovere nel caso di una svalutazione della nuova moneta. Fra l’altro il costo del credito sarebbe destinato ad aumentare e quindi diverrebbe più difficile ricorrervi per tamponare queste nuove difficoltà a onorare i debiti privati con l’estero.
Il complesso degli effetti accennati, anche nella versione più soft, darebbe probabilmente luogo a una duratura recessione accompagnata da una sostenuta corsa dei prezzi, e scusatemi se è poco. Secondo i calcoli di Ubs, l’uscita della Grecia dall’euro costerebbe ai cittadini di quel paese circa la metà (9-10 mila euro) del loro reddito nel primo anno e attorno ai 3.500 euro negli anni successivi. Ma il danno non riguarderebbe solamente le popolazioni dei paesi che se ne vanno.
