ROMA – Tassisti. Il cinema ce li ha raccontati come eroi o quantomeno uomini di buon cuore, basti pensare al Robert De Niro di “Taxi Driver” o all’Alberto Sordi de “Il tassinaro” o al Marcello Mastroianni di “Peccato che sia una canaglia”. La realtà ce li mostra invece come una lobby potente, abbarbicata a privilegi sommamente dannosi per la collettività, capace di tenere in scacco una metropoli con i blocchi stradali, talvolta violenta e non di rado comprendente soggetti dalla fedina penale non proprio linda, come regola vorrebbe.
Probabilmente, come per tutti i gruppi sociali, tra i tassisti ci sono molte mele buone e anche qualcuna marcia, ma sicuramente l’azione lobbistica dei loro rappresentanti possiede un’efficacia senza pari: lo ha dimostrato ancora una volta facendo rinviare alle calende greche il punto della manovra economica che riguardava i conducenti di auto pubbliche. I tassinari, che già avevano iniziato a innalzare le barricate e a fare proclami di guerra, non verranno toccati dalla prossima tornata (tornatina) di liberalizzazioni. Le licenze non si toccano: restano quelle poche e insufficienti che ci sono già e che vengono adeguate con il contagocce, provocando un’endemica scarsità di mezzi a disposizione dei cittadini e contribuendo a tenere alti i prezzi delle corse.
A Roma, ad esempio, per un quindicennio non è stata concessa nessuna nuova autorizzazione. Poi l’ex sindaco Walter Veltroni ha ingaggiato un lunghissimo e duro braccio di ferro con la corporazione su quattro ruote al termine del quale sono state distribuite poche centinaia di nuove licenze, per lo più a parenti stretti dei tassisti e ad autisti che già da anni guidavano su vetture altrui.
A Milano i taxi sono circa 5.000 (a Roma sono oltre 6.000 ma gli abitanti sono assai più numerosi), un numero a prima vista alto con il quale i tassisti si fanno scudo sottolineando come vi sia una licenza ogni 260 abitanti o poco più, vale a dire un rapporto licenze/abitanti assai superiore che a Roma o addirittura a New York (qui ce ne sono circa 16 mila, su una popolazione molto più cospicua, cui si debbono però aggiungere numerosissime auto a noleggio con conducente; e inoltre titolari delle licenze sono perlopiù grosse società e i taxi driver sono salariati, quasi sempre immigrati a basso costo che su più turni fanno viaggiare le vetture 24 ore su 24).
Ne conseguirebbe, secondo i conducenti di rito meneghino, e non solo per questi, che il guadagno mensile di un tassista si aggirerebbe tra i 1.200 e i 1.500 euro: aumentare il numero di licenze spingerebbe la maggioranza della categoria al di sotto della soglia della povertà. Naturalmente si tratta di stime non condivise da molte altre fonti: sempre per i conducenti milanesi c’è chi parla di un reddito mensile fra i cinque e i seimila euro.
Forse quest’ultima è un’esagerazione (di ampiezza simile ma di segno opposto alla precedente). Però è certo strano che al fine di conquistarsi poco più di mille euro al mese, come assicurano i tassisti, in molti di loro siano disposti a sborsare per l’acquisto di un’autorizzazione tra i 150 e i 300 mila euro (a seconda della città: a Milano sarebbero tra i 150 e i 180 mila, a Roma circa 250 mila, mentre le licenze fiorentine sarebbero le più costose di tutte).
Qui comunque si tocca il punto cruciale delle polemiche che scoppiano ogniqualvolta si parla di liberalizzazione delle licenze: sarebbe un sopruso inammissibile inondare il mercato di nuovi permessi, dicono i tassisti e anche molte anime belle, svalutando d’un colpo i permessi pagati a sì caro prezzo dagli attuali titolari. Una vera e propria “rapina”. Ma riflettiamo un attimo: le licenze all’origine sono state concesse gratuitamente (e molte di quelle in circolazione sono ancora di questo tipo) e per loro natura non sarebbero cedibili e dovrebbero venir meno per scadenza o con la cessazione dell’attività del titolare.
La prassi di “vendere” un titolo non alienabile (peraltro è stato accertato che “normalmente” il ricavato della vendita non viene dichiarato al fisco) è stata via via più estesamente tollerata in tutti i principali Comuni, così da finire per essere considerata un inviolabile diritto e la licenza un “capitale” di esclusiva proprietà. Ma in sostanza è una situazione abbastanza simile a quella di chi acquista, consapevole, un’abitazione abusiva: facendo questo atto deve essere conscio che se un domani le autorità preposte decidessero di far abbattere l’immobile in questione l’acquirente ne farebbe le spese.
Pare quasi una bestemmia, la precedente considerazione, alle orecchie della lobby dei conducenti. Una lobby potentissima, come si è detto. Se prendiamo ad esempio una città come Roma, i tassisti con i loro familiari e amici stretti controllano alcune decine di migliaia di voti; inoltre ogni conducente incontra quotidianamente alcune decine di clienti e può far con loro opera di persuasione politica (molte leggende metropolitane, a danno di questo o quell’altro uomo politico, sono nate nell’abitacolo di un’auto bianca).
In poche parole, i tassinari sono in grado di madare a casa un’amministrazione comunale e di portare al governo della città una diversa maggioranza. Gianni Alemanno ne sa qualcosa e la sua disponibilità verso le rivendicazioni dei tassisti lo prova ampiamente. Viceversa il suo predecessore Veltroni e pure l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini hanno “imparato la lezione” troppo tardi.
E’ comunque possibile affrontare il problema delle licenze senza adottare politiche da Torquemada nei confronti dei tassisti. Proposte ne circolano diverse e autorevoli già da anni, per giungere a una liberalizzazione senza spargimento di sangue: i tassisti non vogliono nemmeno sentirne parlare e fin qui non hanno mai incontrato sulla loro strada governi e/o primi cittadini autorevoli e ben determinati a non lasciar mettere sotto i piedi se stessi e la maggioranza dei cittadini da un gruppo di pressione anche se pericoloso per le loro sorti elettorali.
Già nel 2004 l’Authority Antitrust ha rilevato l’“insufficiente apertura alla concorrenza” del settore taxi “che si manifesta in una domanda da parte dei consumatori non pienamente soddisfatta” ed è causata da “una forte resistenza da parte degli operatori del settore, favorevoli al mantenimento delle restrizioni quantitative”. E di conseguenza ha proposto due strade per aumentare le licenze senza “massacrare” gli attuali titolari.
La prima prevedeva che venissero concessi molti nuovi permessi attribuendoli agli aspiranti in base a un’asta pubblica: il ricavato di detta gara sarebbe stato distribuito agli attuali titolari per compensarli della “svalutazione” delle proprie licenze in seguito all’aumento del loro numero. La seconda strada proposta dall’Antitrust prevedeva invece che ai tassisti attualmente autorizzati venisse concessa a titolo gratuito una seconda licenza: entro un anno, pena la decadenza della stessa, essi dovrebbero metterla a disposizione di un familiare o affidarla a un loro dipendente, oppure venderla ricavandone un guadagno.
Qualche tempo fa, inoltre, l’economista Tito Boeri, sempre nell’ottica di far digerire più agevolmente ai conducenti una maggiore concorrenza, ha proposto di mettere in vendita nuove licenze e di destinare il ricavato a una cassa autonoma di categoria che garantirebbe rendite, ovvero pensioni integrative, ai tassisti.
Quale che sia la soluzione “morbida” che un giorno potrebbe venire prescelta per aumentare le licenze, sta di fatto che una volta di più i tassisti l’hanno spuntata, anche con un governo “tecnico” che non dovrebbe essere in balìa delle lobby. E così noi ci terremo ancora per un bel po’ una situazione caratterizzata da taxi spesso introvabili (si vedano le numerose ricerche sui tempi medi di attesa di un’auto pubblica nelle grandi città) e da tariffe decisamente superiori che nella maggior parte degli altri paesi sviluppati.