ROMA – Caro Babbo Natale, quest’anno non ti chiederò regali troppo impegnativi. Capisco che la crisi vale anche per te e che dobbiamo tutti darci una regolata. Quindi non pretendo che tu sovraccarichi la tua slitta con un grosso pacco con su scritto “spread Btp-Bund a 30 punti” (come era ai primi tempi dell’euro) e neppure che tu riempia la gerla di qualche centinaio di miliardi da utilizzare per abbattere il nostro debito pubblico dal 120 al cento per cento del Pil. Mi basta un omaggio piccolo piccolo, in fin dei conti è il pensiero che conta, nevvero?
Caro Babbo Natale, fa in modo che nel 2012 le agenzie di rating se ne stiano zitte, la smettano di distribuire voti a vanvera, in particolar modo riguardo ai debiti sovrani e alle banche. Lo so che è brutto auspicare che qualcuno venga zittito, che gli si tolga la libertà di parola. Ma anche questa libertà ha dei limiti, dal divieto di diffamazione e di ingiurie a quello di aggiotaggio, e mi pare che le tre grandi regine del rating – Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch – spesso vi ci si sono avvicinate e comunque con i loro giudizi, frequentemente infondati, hanno provocato danni enormi a milioni di persone e ancor più potrebbero provocarne nei prossimi mesi. Quindi, caro Santa Claus, San Nicola o come diavolo ti chiami, promettimi che dopo le feste gli metterai il bavaglio.
E se non sei del tutto convinto che questa sia una buona idea, leggi quel che segue. Sorvoliamo sui casi più “lontani” e più noti: dal caso Enron (quando le agenzie continuarono a dare ottimi voti alla società fino a quattro giorni prima del disastroso fallimento) al caso Lehman Brothers (anche qui non accorgendosi dello tsunami già in vista). E vediamo alcune delle gaffes più recenti. Come quella di Standard & Poor’s tra il 5 e il 6 agosto scorso, quando l’agenzia decretò il downgrading nientepopodimeno che degli Stati Uniti, provocando scombussolamenti e tremori in tutto il mondo, in primo luogo in Cina, paese che detiene la più grande quota del debito americano.
La poltrona del sottosegretario al Tesoro Usa vacillò seriamente. Poi tutto finì in burletta quando lo stesso Tim Geithner dimostrò che le motivazioni del declassamento erano inficiate da un errore di calcolo di duemila miliardi di dollari (confermo: 2.000). A distanza di quattro mesi da quel sindacabilissimo giudizio i buoni del Tesoro Usa hanno guadagnato in valore, il dollaro si è apprezzato dell’8,6 per cento rispetto alle principali valute mondiali, l’indice di Borsa delle maggiori società americane è cresciuto, i tassi pagati sui T-Bond sono crollati a un livello mai raggiunto dal 1950.
A questo punto l’intero top management di Standard & Poor’s avrebbe dovuto eclissarsi alla chetichella, rosso in viso, e la premiata ditta chiudere i battenti. E invece? Invece niente, come se nulla fosse successo. Del resto non era la prima volta: a due successive riduzioni del rating giapponese sancite da S&P (da AAA ad AA+ e da quest’ultimo ad AA-) hanno fatto seguito riduzioni (quindi miglioramenti) dei rendimenti dei titoli pubblici nipponici. I mercati, insomma, tendono a farsi abbindolare sempre meno dai voti delle tre “regine”. Che però conservano una grande rilevanza, basti pensare al fatto che molti investitori istituzionali, ad esempio molti fondi pensione, sono per statuto obbligati a investire solo in titoli con la tripla A, o al massimo con la doppia. Pensiamo al danno che i downgrading dei titoli italiani hanno provocato al collocamento dei nostri Btp, per quasi metà piazzati all’estero, in questa fase di crisi dei debiti sovrani. Nelle scorse settimane è stato più volte ventilato il declassamento del debito francese, senza che per il momento vi si facesse seguito.
Addirittura il 10 novembre scorso il portale Global credit di S&P annunciava: “Allarme paesi sovrani – Repubblica francese – Declassata”. La notizia in un battibaleno ha fatto il giro del mondo prima di venire smentita nettamente dalla stessa fonte: “Il rating francese rimane invariato ad AAA con un outlook stabile e l’incidente non è legato ad alcuna attività di sorveglianza della valutazione della Francia”.
L’incidente è quantomeno strano e desta il sospetto che il gallo transalpino abbia fatto paura alle tre grasse faraone americane: toccare la tripla A francese, oltretutto mentre si approssimano le elezioni presidenziali, potrebbe far scatenare Nicolas Sarkozy e rinfrescare il mai sopito orgoglio gollista-antimperialista. Un guaio, soprattutto quando nella Ue si discute la proposta, per ora stralciata, di vietare il rating dei debiti sovrani dei paesi in difficoltà e delle maggiori banche (prendi nota, Babbo Natale: non te lo chiedo solo io). E mentre in generale il clima, attorno alle agenzie, si fa via via più pesante. Basti pensare che il filosofo-giornalista Bernard-Hénri Levy, in un recente intervento, ha tacciato le tre regine di essersi comportate più che da agenzie di credito da “agenzie di discredito”.
A proposito di discredito, B.H.L. ha sibilato all’indirizzo del “triopolio”: “Sono pagati da clienti che essi stessi dovranno valutare. Consigliano le banche sul modo di strutturare prodotti che, una volta messi sul mercato, essi stessi dovranno giudicare”, prodotti che talvolta hanno il profilo di quegli attivi “tossici” che hanno dato il là all’attuale depressione. Prosegue il filosofo: “Un dirigente che falsifica i conti della propria azienda va in prigione. Un responsabile di S&P, che con un battito di ciglia inconsiderato crea l’effetto, quasi meccanico, di mandare in rovina milioni di persone, non sarà mai punito. Giuridicamente, la sua ‘nota’ dipende da un’‘opinione’. E, come tutte le ‘opinioni’, essa gode di una libertà senza limiti”. Conclusione: “Bisogna degradare le agenzie di rating”.
Un’idea, quest’ultima, condivisa da non pochi addetti ai lavori. Hanno sostenuto ad esempio di recente tre giovani docenti di università americane, al termine di un approfondito studio: “Rispetto ai rating sui bond societari, i titoli pubblici sono stati valutati più severamente e i prodotti strutturati più generosamente”. E a conferma forniscono dati: tra gli Stati le cui valutazioni sono inizialmente partite da una A nessuno ha mai fatto default, mentre ciò è successo al 4,92 degli istituti finanziari e ben al 27,21 dei prodotti strutturati.
L’analisi di uno dei maggiori esperti mondiali di regolamentazione dei mercati finanziari, l’americano Frank Partnoy, spiega senza reticenze perché le agenzie sono diventate via via meno credibili: “Negli ultimi vent’anni il loro ruolo è cambiato radicalmente: prima fornivano agli investitori informazioni sugli emittenti di obbligazioni; ora aiutano gli emittenti ad avere accesso ai mercati finanziari. Prima erano pagate dagli investitori e stavano attente alla reputazione degli emittenti, ora sono gli emittenti a pagarle (Stati esclusi, ndr.) e il focus è sulle norme da rispettare perché i bond emessi possano finire nei portafogli dei grandi investitori”.
In altre parole, come ha tradotto in linguaggio semplice B.H.L., le agenzie diventano contemporaneamente ‘pompieri e piromani’ ovvero ‘giudice e giudicato’: “Siamo al limite della peggiore confusione dei generi, se non del traffico d’influenza più sfrontato”.
Caro Babbo Natale, se quanto ti ho scritto ancora non ti basta non farti problemi a chiedermi ulteriore documentazione: ho tutte le pezze d’appoggio anche per dimostrarti che il regalo che vorrei da te, mettere a tacere questi uccelli del malaugurio, è in cima alla lista dei desiderata anche dei più autorevoli consessi internazionali.
A Bruxelles, ad esempio, hanno già deciso che le agenzie dovranno comunicare le loro decisioni a mercati chiusi, basarle su rapporti da aggiornare semestralmente e la medesima agenzia non potrà dare giudizi sia su un emittente che sul suo strumento di debito (a parte, ahimé, i debiti sovrani per i quali però sono in discussione temporanei divieti di giudizi). In più gli emittenti dovranno ingaggiare una agenzia diversa ogni tre anni, per evitare complicità troppo spinte. In prospettiva si discute inoltre della possibilità di istituire un’agenzia europea indipendente come contraltare ai tre colossi Usa. Anche dall’altra parte dell’Atlantico, peraltro, il “rating” delle agenzie è in calo: la Federal Deposit Insurance Corp., ente che assicura i depositi bancari, ha deciso che le maggiori aziende di credito non potranno più trincerarsi dietro i rating delle agenzie per valutare i rischi dei loro investimenti. Come dire: prendetevi le vostre responsabilità e non accontentatevi di pareri esterni che troppo spesso hanno già dimostrato la loro inaffidabilità.