Primo marchingegno. La Bce, per statuto, non può acquistare direttamente dagli Stati ingenti quantità di titoli del loro debito pubblico per sostenerne il collocamento e contenerne i tassi. Ma potrebbe invece fornire fondi “ai Paesi terzi e alle organizzazioni internazionali”, come recita lo statuto dell’Eurotower. Di conseguenza Francoforte potrebbe fra l’altro concedere prestiti al Fondo monetario internazionale e questo, a sua volta, potrebbe utilizzare i fondi in tal modo messi a sua disposizione per aiutare i paesi dell’Eurogruppo in difficoltà . Una triangolazione, insomma, ma a prova di trattati e senza modificare alcun assetto istituzionale. E con in più qualche vantaggio collaterale.
Il principale deriva dal fatto che il Fmi ha sempre concesso i suoi prestiti ai paesi in difficoltà sotto condizione che questi ultimi si impegnassero a perseguire determinati, stringenti obiettivi di bilancio. A tal fine gli “ispettori” di Washington sono usi vigilare strettamente sul rispetto degli impegni, monitorando con assiduità i conti pubblici dei paesi mutuatari del Fondo. Ciò significa che la Bce e i suoi soci potrebbero risparmiarsi lo scomodo compito del controllo ravvicinato di un partner e l’invio di “letterine” con dettagliate prescrizioni o decine di quesiti tipo quiz d’ammissione. In secondo luogo il Fmi, nel concedere tali crediti (in pratica degli eurobond che si sono concessi una doppia traversata dell’Atlantico) si accolla anche il rischio proprio dell’operazione bancaria, peraltro basso dato che può avvalersi della sua natura di creditore preferenziale, ed evitare quindi che la Bce se ne debba far carico.
Secondo marchingegno. E’ noto ed evidente che la crisi attuale ha due “corna”: è crisi dei debiti sovrani e crisi delle banche. I due aspetti s’intrecciano e si alimentano a vicenda. Difficile dire chi sia nato prima, se l’uovo-banche o la gallina-debiti pubblici. Quando nel 2008 e dintorni collassarono alcuni importanti istituti di credito, non solo europei, il loro salvataggio aggravò al limite della tollerabilità i conti pubblici di molti Stati. Oggi che il valore dei titoli di numerosi paesi sta crollando, questo fatto insidia gli equlibri di bilancio di molte aziende di credito, sia perché sono imbottite di debito sovrano dei paesi in difficoltà , sia perché l’aumento degli spread si trasmette sui costi della raccolta, sia infine perché tutto ciò aggrava i sempre più pressanti obblighi di ricapitalizzazione.
Inoltre molte banche italiane, ma non solo, hanno accresciuto enormemente negli ultimi anni le loro emissioni di obbligazioni, in particolare per finanziare la loro politica di acquisizioni, pagando prezzi contenuti (i bond bancari in circolazione sono pari a 580 miliardi solo per i primi cinque istituti di credito nostrani): oggi si trovano nella necessità di rinnovare questa provvista (per più di cento miliardi nel 2012) con altri bond molto più costosi (quelli nuovi offrono rendimenti tra l’8 e il 12 per cento, più alti dei Btp e circa il doppio di quelli pagati dalle banche tedesche o francesi) o con certificati di deposito, anch’essi a interessi crescenti, mentre il pubblico degli investitori tende sempre più a mantenersi liquido in attesa dell’alba di un nuovo giorno.
