Aiuti tramite il Fmi e prestiti lunghi alle banche: due idee per la Bce

ROMA – Ci vuole un bel coraggio a essere ottimisti sulle possibilità di superamento della crisi economico-finanziaria dell’eurozona in questi giorni di spread ai massimi storici e di quotazioni di Borsa in picchiata. Vogliamo comunque provarci, a dispetto delle evidenze empiriche e dei deludenti risultati del vertice a tre fra Merkel, Monti e Sarkozy. Negli ultimi giorni sono state affacciate un paio di ipotesi di nuove modalità di intervento, sui mercati dei debiti sovrani e a sostegno dei sistemi bancari, le quali potrebbero almeno parzialmente superare le impasse politiche e i veti incrociati dei membri dell’eurogruppo che hanno fin qui impedito di porre un argine efficace al progressivo precipitare della crisi.

L’ostacolo principale, com’è noto, è il netto rifiuto della Germania a consentire che la Banca centrale europea svolga un ruolo di prestatore di ultima istanza, si accolli cioè quella parte dei debiti sovrani che i mercati rifiutano di acquistare a tassi “ragionevoli”. Al tempo stesso vi è l’opposizione, sempre tedesca, all’emissione di eurobond, con garanzia solidale di tutti i paesi dell’eurozona, in totale o parziale sostituzione dei titoli nazionali. E’ inutile nascondersi, d’altro canto, che i veti di Berlino, oltre a poggiare su argomenti almeno in parte condivisibili (mettere un alt alla finanza allegra di alcuni paesi; evitare spinte inflazionistiche; non addossare ai cittadini tedeschi oneri altrui; ecc.), riguardano strumenti di intervento sull’economia la cui implementazione richiede non poco tempo, per motivi politici e tecnici. Ad esempio, assegnare un ruolo di prestatore di ultima istanza alla Bce significa modificare i trattati, operazione di lunga lena e di incerto esito.

Senza continuare a infilarci in vicoli ciechi, dunque, conviene dare briglia sciolta alla creatività, all’invenzione di nuove strade che non saranno né autodstrade né superstrade, ma probabilmente viottoli e tratturi: l’importante è che contribuiscano a portarci verso il risultato che ci proponiamo e cioè a tranquillizzare i mercati e a riprendere un percorso di sviluppo abbandonato ormai da tutti, Germania inclusa. In questa direzione va, ad esempio, la richiesta, rivolta dal neo premier Mario Monti a Frau Angela e a Monsieur le President Nicolas, di tener conto, nei programmi di progressivo azzeramento del rapporto deficit/Pil, degli effetti di un peggioramento delle previsioni di crescita del Pil, onde evitare di costringere alcuni paesi a “disumane” politiche lacrime e sangue e di dare ulteriori spinte alla recessione incombente. Su questo terreno Francia e Germania hanno i loro bravi scheletri nell’armadio e difficilmente potranno opporsi alle ragionevoli richieste italiane. Ma altre due proposte di intervento potrebbero produrre risultati ancor più significativi e in tempi brevi, quali la situazione impone.

Primo marchingegno. La Bce, per statuto, non può acquistare direttamente dagli Stati ingenti quantità di titoli del loro debito pubblico per sostenerne il collocamento e contenerne i tassi. Ma potrebbe invece fornire fondi “ai Paesi terzi e alle organizzazioni internazionali”, come recita lo statuto dell’Eurotower. Di conseguenza Francoforte potrebbe fra l’altro concedere prestiti al Fondo monetario internazionale e questo, a sua volta, potrebbe utilizzare i fondi in tal modo messi a sua disposizione per aiutare i paesi dell’Eurogruppo in difficoltà. Una triangolazione, insomma, ma a prova di trattati e senza modificare alcun assetto istituzionale. E con in più qualche vantaggio collaterale.

Il principale deriva dal fatto che il Fmi ha sempre concesso i suoi prestiti ai paesi in difficoltà sotto condizione che questi ultimi si impegnassero a perseguire determinati, stringenti obiettivi di bilancio. A tal fine gli “ispettori” di Washington sono usi vigilare strettamente sul rispetto degli impegni, monitorando con assiduità i conti pubblici dei paesi mutuatari del Fondo. Ciò significa che la Bce e i suoi soci potrebbero risparmiarsi lo scomodo compito del controllo ravvicinato di un partner e l’invio di “letterine” con dettagliate prescrizioni o decine di quesiti tipo quiz d’ammissione. In secondo luogo il Fmi, nel concedere tali crediti (in pratica degli eurobond che si sono concessi una doppia traversata dell’Atlantico) si accolla anche il rischio proprio dell’operazione bancaria, peraltro basso dato che può avvalersi della sua natura di creditore preferenziale, ed evitare quindi che la Bce se ne debba far carico.

Secondo marchingegno. E’ noto ed evidente che la crisi attuale ha due “corna”: è crisi dei debiti sovrani e crisi delle banche. I due aspetti s’intrecciano e si alimentano a vicenda. Difficile dire chi sia nato prima, se l’uovo-banche o la gallina-debiti pubblici. Quando nel 2008 e dintorni collassarono alcuni importanti istituti di credito, non solo europei, il loro salvataggio aggravò al limite della tollerabilità i conti pubblici di molti Stati. Oggi che il valore dei titoli di numerosi paesi sta crollando, questo fatto insidia gli equlibri di bilancio di molte aziende di credito, sia perché sono imbottite di debito sovrano dei paesi in difficoltà, sia perché l’aumento degli spread si trasmette sui costi della raccolta, sia infine perché tutto ciò aggrava i sempre più pressanti obblighi di ricapitalizzazione.

Inoltre molte banche italiane, ma non solo, hanno accresciuto enormemente negli ultimi anni le loro emissioni di obbligazioni, in particolare per finanziare la loro politica di acquisizioni, pagando prezzi contenuti (i bond bancari in circolazione sono pari a 580 miliardi solo per i primi cinque istituti di credito nostrani): oggi si trovano nella necessità di rinnovare questa provvista (per più di cento miliardi nel 2012) con altri bond molto più costosi (quelli nuovi offrono rendimenti tra l’8 e il 12 per cento, più alti dei Btp e circa il doppio di quelli pagati dalle banche tedesche o francesi) o con certificati di deposito, anch’essi a interessi crescenti, mentre il pubblico degli investitori tende sempre più a mantenersi liquido in attesa dell’alba di un nuovo giorno.

Allo stesso tempo le banche cercano di alleggerire il loro fardello di titoli pubblici dei paesi deboli, contribuendo al precipitare della crisi e al ballo degli spread, e hanno tagliato drasticamente i prestiti interbancari per mantenere un po’ di liquidità. Inoltre sembra inevitabile che il “credit crunch” si approfondisca e tagli i viveri alle imprese e le gambe a qualsiasi ottimistica speranza di ripresa. In questo quadro, le aziende di credito hanno una impellente necessità di ottenere prestiti: gli Stati hanno poco da scialare, mentre la Bce, su garanzia, concede solo crediti a brevissimo termine, da pochi giorni a un anno circa. Insomma l’acqua rimane ben prossima alla gola.

Ora si prospetta una modifica a questo ingorgo che potrebbe avere notevoli effetti benefici: la Bce starebbe infatti studiando la possibilità di concedere quattrini alle banche per durate più lunghe, fino a due o tre anni. Ciò allevierebbe la loro situazione, rendendole meno schiave di costosissimi rinnovi dei propri bond o della cessione dei titoli pubblici nei loro caveau a prezzi di svendita. E in qualche modo renderebbe meno intensa la pressione al ribasso sui titoli pubblici e lo strozzamento delle economie.

Questo è quanto: due “piccoli” marchingegni che però potrebbero portare a risultati notevoli. E chissà che la fantasia degli economisti e dei governanti non ne partorisca al più presto qualcun altro.

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Alberto Francavilla