In questa gara a chi se l’inventava più dispendiosa un posto di rilievo spetta alle Regioni, nate negli anni ’70 ma rapidissime a recuperare il tempo perduto, specialmente quelle a statuto speciale: baby pensionati, indennità sontuose, miriadi di dipendenti e quant’altro.
Qualche giorno fa il “Corriere” ha calcolato che, fra il 1999 e il 2008 i rimborsi elettorali ai partiti sono aumentati di 11 volte: nessuno si è stupito e soprattutto nessuno si è alzato in Parlamento proporre un drastico taglio di questi contributi che oltretutto aggirano spudoratamente il voto popolare che nel ‘93 si pronunciò (al 90 per cento) per abolire il finanziamento pubblico ai partiti politici.
So bene che i cosiddetti costi della politica sono una piccola quota della spesa pubblica. Ma, se è vero che il pesce puzza a partire dalla testa, in una fase come l’attuale in cui si prospettano drastici tagli alla spesa pubblica, per ottemperare alle richieste della Ue e non finire come la Grecia, certo l’esempio che viene dalle principali istituzioni non ci rassicura affatto. Come chiedere ulteriori decurtazioni agli stipendi pubblici (aumentati del 42 per cento in un decennio) da un pulpito che ha incrementato le sue spese del 1.110 per cento? Si tratta con ogni evidenza di una situazione che rende ancora più difficile un’operazione già di per sé impervia.
Su circa 800 miliardi di euro di spesa pubblica complessiva, quasi metà della quale gestita dagli enti locali, poco meno di 300 miliardi è costituita da pensioni dei dipendenti pubblici, 171 miliardi da stipendi, poi ci sono le missioni militari all’estero, le spese per investimenti (che continuano a calare). Comprimere queste voci, com’è ovvio, è quasi impossibile e talvolta anche controproducente (pensiamo agli investimenti, in particolare). Rimangono le spese per consumi intermedi e le spese correnti. Queste ultime due voci assommano a circa 200 miliardi e sono state già tosate nelle passate finanziarie. Quindi il grasso che cola è davvero poco ma è comunque qui che la forbice di Tremonti dovrà nuovamente esercitarsi nelle prossime settimane. Siano davvero sicuri che una forte riduzione del costo della politica non sarebbe un indispensabile viatico per un’impresa così ardua?
