ROMA – Si sono insultati tutto il giorno. E non hanno votato neppure un comma della legge elettorale. La notte dei lunghi coltelli, a destra e a sinistra, è solo rinviata. A mercoledì 21 gennaio, quando in un modo o nell’altro le votazioni sulla nuova legge elettorale dovranno cominciare. Al massimo entro il 28 gennaio quando l’aula del Senato dovrà licenziare il testo dell’Italicum secondo il cronoprogramma renziano. Allora, solo allora, sarà possibile contare vittorie e sconfitte e feriti gravi. Nelle rispettive due metà campo. Sulla pelle del protagonista assoluto di questa faticosa mediazione che va avanti da un anno e si chiama Patto del Nazareno. E quindi, poi, sulla partita finale e decisiva che resta l’elezione del Presidente della Repubblica.
Tutti, in queste ore, si stanno giocano tutto. Renzi e Berlusconi blindano nella mattinata di martedì, per l’ennesima volta, il patto del Nazareno e la legge elettorale così com’è: cento collegi, capilista bloccati, il resto eletti con il proporzionale, premio di maggioranza alla lista che raggiunge il 40% dei voti, sbarramento al tre per cento. La speranza, di Forza Italia, di sostituire il premio di lista con quello di coalizione, sfuma nella spazio di una manciata di minuti.
All’ora di pranzo il premier incontra i senatori Pd a palazzo Madama ma ne perde per strada 29 su 91, assenti una quindicina che restano incerti. Sono numeri che vanno moltiplicati con quelli della Camera e sono importanti in previsione dell’elezione del Presidente quando nell’urna Dio ti vede ma Renzi no. Berlusconi vede i suoi 60 senatori a palazzo Grazioli nel pomeriggio e a sua volta ne perde per strada una decina, pugliesi, campani, in una parola Fitto e la sua minoranza che in serata grida: “In questo modo svendiamo il partito a Renzi, un suicidio”.
Anche questi diventano numeri pesanti pensando al Colle. Tutti, a destra e a sinistra, accusano l’Italicum di produrre un Parlamento di nominati e non di eletti. Di essere, ancora una volta, un sistema elettorale incostituzionale. In effetti la rappresentanza non è così garantita anche in questa legge. Ma tant’è: la proposta di far fare un check preventivo alla Consulta cade nel vuoto.
Alla fine, nonostante la mossa del cavallo di lunedì con Alfano e Ncd (li ha incontrati prima di Renzi riportandoli, nei fatti, a casa) Berlusconi è quello che balla di più: se non darà prova di governare le fibrillazioni dentro Forza Italia, di tenere unite le magre truppe e quindi i voti, diventerà inutile, il premier Renzi non saprà più farsene. E lo pizzicherà via, come una pallina di carta inutile. Lasciando libero il campo ad ogni opzione, anche la più estrema, compresa la fine anticipata della legislatura.
Se epurazione e resa dei conti sono rinviati, sulla scena di questo complicato martedì resta un vigoroso rumore di sciabole. Che fanno scintille e ingaggiano battaglie. Sconvolgenti visto che in aula al Senato in quello che doveva essere il primo giorno di votazioni sulla nuova legge elettorale si assiste a scene inimmaginabili come il senatore Minzolini (Forza Italia) che fa sponda con Miguel Gotor, il bersaniano che Renzi ha definito “il mio miglior nemico”; i Cinque stelle che si spellano le mani per le parole della senatrice Lo Moro (pd, non renziana); la Lega che è un corpo unico con la senatrice De Petris (Sel). Questa volta il colpevole è il “giovane turco” Stefano Esposito che ha presentato un emendamento (1.103) alla legge elettorale che se passa ammazza tutti i 48mila emendamenti presentati a un testo che non ha avuto neppure il voto della Commissione.
La Lega lo accusa di essere “bugiardo” e anche di peggio perché ha depositato l’emendamento incriminato fuori tempo massimo, dopo le venti del 13 gennaio. “Abbiamo le prove, abbiamo i video, mettiamo tutto su You Tube” gridano i leghisti capeggiati da Calderoli mentre i Cinque stelle vanno fieri per aver fatto scuola. È un trucco, “uno sporco trucco” si riscalda la senatrice De Petris, “su un testo fondamentale per la democrazia come quello delle legge elettorale. Tanto vale allora, cara ministra Boschi (imperterrita al suo posto, ndr), che lei si alzi e metta la fiducia. Abbiate questo coraggio, assumetevi le vostre responsabilità senza giochetti di basso livello come l’emendamento Esposito…”.
Si propone di girare un film, “Totò e la legge elettorale” (copyright De Petris), mentre il leghista Candiani lancia una biro e centra a 70 metri il presidente dell’aula Valeria Fedeli. E anche uno mite come Gotor “diventa un unno come Attila”. In questo ring che è l’emiciclo di palazzo Madama, alle otto di sera arriva il sempre più scapigliato sottosegretario alla presidenza Luca Lotti e i plenipotenziari del patto del Nazareno e del cerchio magico del Cavaliere: Denis Verdini, Niccolò Ghedini, Maria Rosaria Rossi, il capogruppo Paolo Romani. Sono i gendarmi del patto. È il segnale che Berlusconi mantiene la parola.
Eh già, ma fino a che punto? Con quali numeri? Perchè se è vero, come si affretta a dichiarare il ministro Boschi, che “per l’Italicum non ci sono problemi perchè abbiano i numeri” (240 al netto delle defezioni nel Pd e in Fi, la maggioranza necessaria è 158), i problemi invece ci saranno eccome per l’elezione del Presidente. Ed è qui, soprattutto, dal 29 gennaio che Renzi si gioca la faccia. E la legislatura. Il premier ha promesso il Capo dello Stato entro fine mese. Massimo il primo febbraio. Ogni rinvio saprebbe di sconfitta. E la giostra dei nomi sta girando troppo in fretta per non rischiare di bruciare anche quello buono. Il Patto del Nazareno tiene. Tutto il resto un po’ meno. Renzi ha sempre meno mosse a disposizione. Ma continua ad alzare la posta e l’asticella.