Serie A: Juve malmena Napoli, sfida a 2 con la Roma. Inter Ok, Milan annaspa

Serie A: Juve malmena Napoli, sfida a 2 con la Roma. Inter Ok, Milan annaspa (foto Lapresse)

ROMA – Liberata dai molesti pensieri della Champions, la Juventus si è sfogata in campionato. Malmenato il Napoli (3-0, Llorente, Pirlo, Pogba) stroncato alla distanza dal ritmo forsennato (nel primo tempo) e nela ripresa dalla maestria tattica del centrocampo bianconero, in cui Pirlo si è erto a protagonista, alla faccia di chi lo dava per bollito. Il Napoli ha qualche motivo per reclamare (gol di Llorente in fuorigioco, possibile rigore su Higuain), ma la sostanza della gara è chiara. La squadra di Benitez sta ancora un gradino sotto a quella di Conte. Manca all’appello la lucida geometria e la bravura balistica di Hamsik, che non ha ancora trovato l’ubi consistam negli schemi di Benitez. La Juve tornerà presto a concentrarsi sulla scena europea ma traguarda all’ordalia di Istanbul. Il 10 dicembre a casa del Galatasaray (ieri sconfitto nel derby contro il Fenerbache) si deciderà quale delle due squadre – Copenhagen permettendo – accompagnerà il Real Madrid agli ottavi.

La Roma ha dunque trovato (provvisoriamente, il Napoli resterà in corsa fino alla fine, Conte dixit) la rivale nella corsa tricolore. Roma che si è scioccamente consegnata al pareggio col Sassuolo, dopo aver sprecato millanta occasioni per chiudere la gara, iniziata sul velluto (autogol precoce di Longhi) e proseguita nel controllo del gioco, scemato via via che la prodigalità dei suoi attaccanti (tutti di complemento, stante le assenze di Totti, Gervinho e in corso d’opera di Borriello) dilapidava la chance di mettere al sicuro i tre punti. La sosta capita a proposito per recuperare gli infortunati (Totti forse non ancora) e per riordinare le idee. Troppi elogi hanno impastato i cervelli dei romanisti e Garcia dovrà dare prova di essere buon psicologo per riportarli sulla terra senza rischiare pericolosi contraccolpi in termini di autostima, come si usa dire oggi. L’organico della Roma è ricco ma non vale quello della Juve, e Totti è un campione universale ma risulta anche condizionante le volte in cui deve accomodarsi ai box. E a 37 anni suonati qualche pausa dovrà pur prendersela nel corso di una stagione lunga e faticosa. Qui sta il busillis, il buco eventualmente da riempire a gennaio, a meno che Destro – fermo per mesi – non riesca a riproporsi ai migliori livelli nel giro di un mesetto. Vedremo. Resta il fatto che la Roma vanta la miglior difesa, appena 3 gol subiti in 12 match e gli scudetti, si sa, si costruiscono dal basso, ossia blindando la propria porta. Vujadin Boskov docet. “La casa, anche nel calcio, si costruisce dalle fondamenta”.

Anche Benitez dovcrà lavorare di bulino per non deprimere ancor più i suoi, usciti alquanto scossi e mortificati dal rotondo e alla fine indiscutibile 3-0 dell’Olimpico torinese. Subentrando a Mazzarri, Benitez è stato straordinariamente bravo ad inventarsi in poche settimane un altro Napoli, meno sparagnino e dipendente da un solo ariete (Cavani, non più rimpianto all’ombra del Vesuvio). Gli acquisti (Callejon, Mertens, Higuain, Albiol) alla prova dei fatti hanno risposto alla grande e De Laurentiis è pronto ad aprire nuovamente il portafoglio (intanto è in arrivo Revellier, esperto difensore francese) e starà a Benitez fornire indicazioni acconce. Un altro uomo di difesa e un vice Higuain (Zapata mi sembra acerbo) sarebbero due ciliegine preziose.

L’Inter battendo il Livorno (2-0, si è rivisto in campo Zanetti, evviva!) guadagna terreno in classifica su Roma e Napoli. Ha sudato un po’ troppo ad avere ragione del Livorno, non ha dato spettacolo, ma si sa che le squadre di Mazzarri raramente incantano e riempiono l’occhio. Alla lunga però migliorano come il vino e in genere raggiungono l’obiettivo che non può essere il tricolore a stretto giro di posta. L’addio di Moratti alla presidenza, dopo 18 anni molto tribolati ma anche esaltanti (chi altri ha messo in saccoccio il Triplete in Italia?) ha inumidito il ciglio dei tifosi della Beneamata, notoriamente “nasini” e mai contenti fino in fondo delle performance della loro squadra. Thohir si è mosso finora con fine tatto diplomatico ed è improbabile che finisca per comportarsi con un elefante in cristalleria. Vuole comprendere i meccanismi del nostro calcio, impadronirsi dei suoi segreti e poi assumere le prime decisioni strategiche. Personalmente ho apprezzato l’approccio morbido, educato, poco da tycoon se vogliamo, del nuovo proprietario dell’Inter.

Il Milan annaspa (0-0 faticoso a Verona col Chievo), vittima dei propri errori e di un organico ben lontano dalla qualità necessaria a disturbare Juve, Roma, Napoli e Inter e finanche la brillante e un po’ svagata Fiorentina di Montella. Il braccio di ferro tra Barbara Berlusconi e Adriano Galliani ammorba l’aria attorno alla squadra e soffoca quel povero diavolo di Max Allegri (peraltro giustamente riconfermato, sul punto Galliani e Barbara la pensano allo stesso modo) al quale vanno i sensi della mia personale ammirazione per il self control che sfoggia nella jungla rossonera gonfia di agguati, misfatti e velenosi equivoci. Basterebbe il caso Balotelli a scompaginare gli equilibri di una squadra tutt’altro che eccelsa, costruita più sui nomi che sulla sostanza tecnica, flagellata dagli infortuni (niente da dire in merito, presidente Berlusconi?) e perennemente in fibrillazione. La classifica (13 punti) è impietosa e un tantino avara rispetto al valore medio del Milan. Purtroppo le turbolenze dirigenziali non aiutano a rasserenare il cielo rossonero e l’exploit della signora Barbara ha acceso altri fuocherelli sotto il sedere del Diavolo che nella circostanza non si bea del calore sprigionato dalle fiamme. La rampolla di casa Berlusconi è destinata a vincere lo showdown con Galliani al quale Berlusconi ha riconfermato amicizia e stima ma che sarà costretto a sacrificare a primavera, perché tra una figlia e un antico sodale la scelta neppure si pone. Il Milan si auguri che le scelte della impaziente signora -. che ancora non ha compiuto 30 anni e del Milan si occupa attivamente appena da un paio di stagioni – siano all’altezza delle ambizioni che coltiva toto core, come è tipico dei giovani. E che la sua sagacia e competenza nel gestire una società come il Milan, che fa calcio e molto d’altro, siano pari alle doti che Galliani ha messo per quasi un trentennio al servizio del suo amico-padrone. Maldini, Albertini, Fenucci, Paratici sono nomi rispettabilissimi, di sicura competenza nei rispettivi ambiti. Ma chi potrà sostituire d’amble le relazioni, anche internazionali, le amicizie personali al massimo livello che Galliani ha tessuto, lucrandone le ricadute a favore del Milan?

In attesa di risposte il Milan deve galleggiare al meglio delle sue capacità. Allegri saluterà a giugno (se non prima) e la scelta del suo successore sarà la prima pietra della ricostruzione. Non sono molti gli alenatori da Milan. Il primo nome che mi viene in mente è quello di Prandelli che dopo il Mondiale saluterà la Nazionale. Ma siamo certi che con quel pedigree juventino Cesare sarebbe bene accolto dalla curva milanista? Seedorf sta in cima ai desideri di Berlksuconi senior e alla fine si da che si segue la volontà del padre-padrone. Inzaghi rivaleggia con l’olandese. Auguri ad entrambi e un avviso alla gente rossonera. La ricostruzione richiederà tempo.

Battendo la Sampdoria grazie ad un’ora abbondante di calcio giocato a memoria, la Fiorentina di Montella (che prima di Catania avrebbe fatto carte false per trasferirsi sulla panchina blucerchiata, senonché Sensibile gli preferì Ferrara, tuttora a libro paga della società di Garrone. A quasi tre milioni di euro a stagione…) ha probabilmente scritto la parola fine alla avventura sulla panchina blucerchiata di Delio Rossi, ex molto chiacchierato a Firenze per via del traumatico pugilato con Ljajic. A volte la Fiorentina tende a specchiarsi troppo nelle sue innegabili virtù, il palleggio si fa stucchevole e improduttivo e persino la scalcagnata e timida Sampdoria di questi tempi alla lunga, grazie al gol del riapparso Gabbiadini, ha rischiato di completare la rimonta, fallita per l’insipienza sotto porta di Wszolek e Mustafi. Un verdetto atteso da Firenze, che Rossi ha preso con signorile distacco. Chiosando a proposito della propria sorte che se non si ha fiducia nel proprio allenatore lo si licenzia su due piedi, non gli si impone una nuova improbabile autodafè, destinandolo al massacro come è accaduto a lui, Una lezione perfetta, da applausi, rivolta alla società di Edoardo Garrone che non ha avuto il coraggio (e la decenza) di tagliar netto subito con Rossi, come se tutti gli equivoci, le contraddizioni e le lacune che hanno tormentato la Sampdoria (e Rossi ha la sua parte di colpe, sia chiaro) non fossero evidenti, direi fulgidamente chiari dopo 11 giornate di campionato, concluse dopo la dodicesima giornata con l’avvilente bilancio di due vittorie, tre pareggi e sette sconfitte, 13 gol segnati e ben 22 subiti.

L’anticamera della serie B. Evidentemente a Genova è stata dimenticata la lezione immortale di Paolo Mantovani (“Il mio allenatore per me è il migliore del mondo, perché l’ho scelto io. Quando non non più fiducia in lui lo licenzio in un attimo. Non lo tengo sulla graticola a rosolare”) scegliendo di sottoporre Rossi all’umiliante e inutile passaggio sotto le forche caudine di Firenze. Mentre scrivo ancora la società non ha annunciato ufficialmente quel che tutti ormai sanno: che Rossi sarà sollevato dall’incarico e sostituito (se la Fecercalcio servba non metterà il bastone tra le ruote) dal ct Sinisa Mihajlovic, ex calciatore blucerchiato molto amato dalla gente ma lontano dal nostro calcio dove, alla guida di Catania, Fiorentina e Bologna, non si era segnalato per exploit memorabili. Mihajolovic che ha vinto la concorrenza di Zeman (visto dai giocatori della Sampdoria come il fumo negli occhi. Con lui si lavora troppo…), si troverà a maneggiare una bomba innescata e pronta ad esplodere. L’organico pletorico (31 elementi), i molti doppioni, alcuni assolutamente inutili, il pubblico sampdoriano, di solito governativo e allineato con la società, sull’orlo della rivolta e una classifica davvero preoccupante (oggi la Sampdoria sarebbe retrocessa). E – last but not least – il Genoa che con Gasperini ha spiccato il volo e viaggia copn 8 punti di vantaggio sulla Sampdoria, al settimo posto. Ironia della sorte, Mihajlovic esordirà proprio contro la sua ex Lazio che non più tardi di una settimana fa aveva confessato di ambire a dirigere dalla panchina. Lo sconquasso attuale della Sampdoria è figlio di molte scelte disastrose del passato, aprete dalla rottura traumatica con Cassano, mandato ad espiare le sue bizze maleducate… al Milan dove vinse lo scudetto… Errori a ripetizione, che precipitarono la squadra in serie B.

Un profondo rosso porta iscritti due nomi, Antonio Guastoni, uomo di fiducia della proprietà, che distrusse in pochi mesi la squadra del quarto posto (Cassano aveva vibrato la prima picconata, mandando a quel paese quel gentiluomo del compianto presidente Riccardo Garrone). Pronubo il duo dei disastri Asmini-Tosi, Guastoni svendette Pazzini all’Inter (squadra di cui è tifoso) e lo sostituì con Maccarone e Biabany. E riscoprì come allenatore Cavasin, sparito dai radar da anni e alla fine fu inevitabilmente serie B. A quel punto arrivò a Genova come ds il vispo Pasquale Sensibile, sponsorizzato dal suo chaperon Walter Sabatini (inutilmente concupito da Garrone junior) e completò l’opera. Fu promozione alla fine, grazie soprattutto all’esperto Iachini subentrato ad Atzori (sublime intuizione di Sensibile che presentandolo dichiarò: “Entro tre anni Atzori allenerà la Juventus”). Iachini per tutto ringraziamento venne silurato da Sensibile e sostituito non con Benitez, Pochettino, Pellegrini e altri nomi di tecnici di primissimo livello assolutamente fuori tiro, inutilmente contattati dall’allora ds, ma con Ciro Ferrara (una ventina di gare sulla panchina della Juve, poi l’esonero) a propria volta licenziato dopo sei mesi (per fortuna assieme all’inseparabile Sensibile) e sostituito con Delio Rossi. Che sulla panchina doriana è durato meno di un anno. Va detto che nessuno aveva omesso di esultare quando Garrone, raggiunta la salvezza, lo aveva confermato per le successive due stagioni.

Anche il suo fallimento ha molti padri. La società, passata nelle mani operative del dg Sagramola e del ds Osti, ha colpevolmente sottovalutato il pessimo finale di campionato dell’anno scorso: dieci gare e una sola vittoria, all’utlima giornata sulla Juve già sazia di scudetto. Osti ha ceduto Icardi all’Inter già a primavera e il ragazzo nello scorcio finale dello scorso campionato ha pensato a salvare le gambe (un solo gol alla Juve), mettendo la squadra nei guai e costringendola ad una salvezza raggiunta quasi sul limite. La Sampdoia ha ceduto Poli al Milan, assecondando il desiderio del giocatore di vestire la maglia di una Grande, non potendolo difendere meglio perché né Sensibile né Osti erano riusciti ad allungargli il contratto (lo stesso aveva fatto Sensibile con Zaza, che la Sampdoria è stata costretta a cedere alla Juve, assicurandosi almeno la metà di Gabbiadini). Perso il bomber (Icardi, 10 gol) e il vero signore del centrocampo (Poli), Sagramola e Osti non hanno trovato soluzioni alternative all’altezza. Gabbiadini è una seconda punta che difficilmente andrà in doppia cifra. Eramo e Bjarnason non sono Poli.

Risultato: Krsticic e Obiang anziché progredire, si sono rimpiccioliti, la difesa mal protetta ha preso a fare acqua e l’attacco è stato abbandonato a se stesso. Rossi ha sbagliato a garantire al presidente Garrone che l’organico sarebbe bastato a conquistare la salvezza. Le evidenze dicono il contrario. E ha sbagliato a frullare moduli e uomini (dodici formazioni diverse in dodici gare!) confondendo le idee a se stesso e ai giocatori. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Squyadra senz’anima e senza gioco, sfiduciata e in balia degli eventi. In società, Garrone e i suoi familiari hanno le mani nei capelli. Fronteggiano un buco di 42 milioni, figlio della serie B e delle errate politiche di mercato di Guastoni e Sensibile: per cityarne solo una: nell’estate 2010 il dg Gasparin, succeduto a Marotta cacciato per via delle bizze di Cassano, aveva virtualmente acquistato Kucka, Iturbe e tale Jaime Rodriguez, quest’anno ceduto dal Porto al Monaco per 43 milioni di euro!. Con l’avallo della proprietà Guastoni intervenne e mandò tutto all’aria. E persino Sensibile che aveva dissanguato le casse sociali (8 milioni di ingaggio a Piovaccari e Bertani, gratificati con due quadriennali da mezzo milione netto ciascuno!) era riuscito, l’anno dopo (2011) a portare a Genova Storari e Diamanti, ma anche allora Guastoni aveva cassato entrambi gli affari richiamandosi ai paletti di bilancio. Con i risultati sui conti che si vedono. Una nuova retrocessione sarebbe catastriofica. E forse cortingerebbe Edoardo Garrone a rivedere il suo impegno in società (la famiglia ha investyito, male, circa 200 milioni di uero in 11 anni, ma i Garrone fanno la figura die quelli col braccino corto. Un paradosso).

Ai tifosi che lo contestano e gli chiedono di cedere la società (ma a chi? Il mondo è pieno di bruciabaracche che accorrerebbero volentieri a spolpare l’osso) ricordo che la famiglia Garrone (Riccardo in testa) salvò la Sampdoia dal fallimento sicuro (anno 2002) dopo che la dissennata gestione del duo Enrico Mantovani-Emiliano Salvarezza aveva ridotto la società di primissimo livello mondiale lasciata in eredità alla sua morte (14 ottobre 1993) da Paolo Mantovani era stata prosciugata nei numeri e nei valori tecnici da un tourbillon di acquisti e cessioni che l’avevano ridotta sul lastrico. Al punto che l’iscrizione al campionato cadetto 2000/20012 era stata possibile soltanto perché l’ex socio in affari di Paolo Mantovani, il genoanissimo Mario Contini – opportunamente stimolato da Riccardo Garrone che forse presentiva di dover scendere in campo – in memoria dell’amico si era acconciato a fornire alla società Sampdoria una fideiussione bancaria a moltissimi zeri (vigeva ancora la lira) per consentire l’iscrizione al campionato. Rammento questi episodi-chioave, documentati e documentabilissimi, per ricordare ai contestatori che spaccare tutto non ha mai portato a niente. “Siamo talmente piccoli che se ci dividiamo spariamo dall’orizzonte” . Un ltro detto memorabile del presidente dello scudetto, invocato, rimpianto, esaltato ma raramente imitato purtroppo dalle parti di Corte Lambruschini e di conseguenza nella massa dei tifosi acritici. Peraltro giustamente furibondi per la piega presa dalle vicende della Sampdoria.

La piaga blucerchiata si fa ancor più dolorosa in virtù dello sprint del Genoa che in sole sei gare soto la guida di Gian Piero Gasperini è schizzato al settimo posto (17 punti) infilando tre vittorie consecutive (non accadeva dall’era Gasperini uno) e riproponendosi gagliardamente per traguardi superiori alla semplice salvezza. Che è successo? E’ successo che Enrico Preziosi, un presidente vittima della bulimia da mercato (mai meno di una trentina di movimenti in entrata ed in uscita ad ogni sessione di mercato) si sia leggermente placato e dopo aver proclamato urbi et orbi di non voler sentire discussioni sul nome di Liverani “che sarà il mio allenatore per i prossimi quattro anni” (ipse dixit) ha recisamente tagliato il nodo gordiano che stava strangolando il Genoa, subito risucchiato nel fondo classifica, ed ha richiamato in servizio Gasperini, con Bagnoli il miglior tecnico del Genoa nel secondo dopoguerra. Nessun miracolo, ma un tecnico che ha un’idea precisa di calcio, sa imporla, anzi proporla ai suoi calciatori. Fortuna ha voluto che nell’organico pensato per Liverani, il Gasp trovasse giocatori adatti al suo 3-4-3 offensivo (peraltro coniugato con maggiore elasticità rispetto al passato), e che la squadra lo abbia seguito anema e core, puntando sulle innegabili qualità tecniche di alcuni dei suoi. Reggendosi, oltre che su una chiara impostazione di gioco, anche sulle parate di Perin (un ventenne destinato a raccogliere un giorno l’eredità di Buffon) e sui gol di Gilardino, che a giugno dopo l’agognato Mondiale probabilmente saluterà il Genoa per rincorrere i dollari canadesi del Toronto. Ma intanto il Gila fa il suo dovere di boimber, rafforzando la massima che in anni lontani udii formulare da Fulvio Bernardini, uno santone del calcio che ogni giorno ringrazio Iddio di aver conosciuto e frequentato perché da lui ho imparato molte cose e non soltanto ramo calcio. “Datemi un portiere che para e un centravanti che la butta dentro e con gli altri nove mi arrangio io” : Massima più che mai vera anche oggi, nel cosiddetto calcio moderno che alla fine si sostanzia nelle medesime eventualità di ogni tempo: se la butto dentro la porta avversaria sono salvo. Ser la buttano dentro la mia porta, sono nei guai. La sconfitta dei Marassi ridimensiona un po’ il Verona, bene ha fatto Mandorltini a riportare i suoi sulla terra ricordando che l’obiettivo stagionale è la salvezza. Per una matricola, basta e avanza.

La Lazio prosegue nel suo limbo di mezzi risultati. Il pari di Parma non dissipa le nuvole sulla testa di Petkovic, un tecnico che Lotito non ama più, chissà perché. La Lazio può correre per un psoto nell’Europa minore, la Champion sarà un affare a cinque tra Juve, Roma, Napoli, Inter e Fiorentina. Perché allora tenere il bravo Petko sulla graticola di un minacciato esonero? Mah… Il Parma di Cassano traccheggia a metà classifica. La sua forza le consentirà di non trovarsi invischiato nella lotta per sopravvivere. Si accocntenti, il presidente Ghirardi, che gode delle giocate di Cassano.

Il fondo della c lassifica ribolle nella lotta. Importanti i successi del Catania (il primo dell’era De Canio) sull’Udinese che, perso Di Natale per infortunio, dovrà guardarsi le spalle; di Atalanta e Cagliari, in limine, su Bologna e Torino. Del Sassuolo non si può che cantare le lodi. La squadra gioca un buon calcio, ha un bomber emerito (il diciannovenne Berardi, già prenotato dalla Juve) e un vice bomber, Zaza, pure lui già bianconero. Di Francesco non ha paura di misurarsi a viso aperto con le grandi e se dovessi fare un pronostico direi che il Sassuolo (anche grazie ai “danè” del patron Squinzi) alla fine si tirerà fuori dalla mischia. Resta il Livorno, battuto a Milano dall’Inter, ma mai messo in gonocchio. Nicola sta lavorando bene con materiale non di primissima qualità. Il Chievo ha fermato il Milan eppure Sannino resta in bilico. Vale il discorso fatto per la Sampdoria. Se la società ha perso fiducia nel suo tecnico, lo licenzi in tronco e corra ai ripari. Altrimenti lo sostenga con tutte le forze. La squadra, mi pare evidente, sta con Sannino. Campedelli tiri le conclusioni.

Published by
Alberto Francavilla