Ambulatori, bancomat, scuola: il paese immaginario del Governo

ROMA – “Italiani riformisti immaginari” è il titolo di un fondo di Luigi La Spina su La Stampa di oggi (7 settembre). Un concetto che l’editorialista del quotidiano torinese declina applicato al decreto sanità appena approvato. Ma un concetto che, in realtà, va oltre quel decreto. Siamo un popolo noi italiani di riformisti immaginari in ogni campo, vogliamo e chiediamo cambiamento e riforme, ma, appena una riforma o un cambiamento si profilano all’orizzonte, puntiamo i piedi e cominciamo con i “sì però”, “ma non era così che andava fatto” eccetera eccetera. Riformisti immaginari come scrive La Spina, ma anche riformisti di facciata o riformisti a parole. Le definizioni che si adattano a quella che sembra purtroppo essere la nostra natura sono diverse, ma la sostanza è unica.

In Italia, ormai, qualsiasi riforma, buona o cattiva che sia, rischia l’inapplicabilità. Perché le resistenze degli interessi, effettivamente o presuntivamente colpiti, delle corporazioni, dei privilegi e, persino, delle abitudini e dei vizi sono talmente forti da bloccare, ritardare, vanificare ogni innovazione. Perché siamo un Paese non solo di rivoluzionari “marxisti immaginari”, come scriveva, in anni sessantottini, Vittoria Ronchey, ma di riformisti altrettanto immaginari.

Sono queste righe la chiosa del pezzo di La Spina. Immaginari sì, ma perché? Perché in realtà, coscienti o meno, siamo un Paese profondamente reazionario, e quindi per definizione avverso a qualsiasi forma di cambiamento e novità. Viviamo attaccati a quelli che riteniamo i nostri privilegi, senza accorgerci quanto questi nel tempo possano esser diventati nocivi per la società e persino per noi stessi.

Fedeli al motto “chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia ma non quel che trova”, tendiamo ad un innaturale immobilismo. Innaturale perché l’uomo per natura è curioso ed attirato dal nuovo ed innaturale perché il mondo, che ci piaccia o meno, cambia. Poco importa se il cambiamento del mondo che ci circonda sia positivo o negativo, quello che è certo che non si può rispondere al cambiamento con l’immobilismo. Ci si deve adeguare, nel migliore dei casi per procedere insieme verso un mondo migliore, e nel peggiore per cercare di limitare i danni e adattarsi meglio alle circostanze.

Ultima solo in ordine di tempo dimostrazione della nostra affezione alla “via vecchia”, il mare di critiche e proteste che il decreto Balduzzi ha scatenato. Certo la “riforma” della sanità non sarà la migliore possibile al mondo, ma è innegabile che propone un traguardo, un obbiettivo che appare positivo. Eppure le Regioni lo criticano perché ritengono la sanità loro esclusivo terreno di caccia. La federazione dei farmacisti (Fofi) vede nel decreto un “vizio di fondo”. I dirigenti medici dell’Anaao Assomed parlano di “novità non senza contraddizioni” e la Cgil di un “atto debole e contraddittorio”. A leggere questi commenti, e con il carico delle Regioni che minacciano di ricorrere alla Consulta, chi non l’avesse letto si farà certo l’idea di un decreto fatto male, malissimo. Così male da mettere d’accordo due governatori politicamente agli antipodi come Luca Zaia (eletto con i voti della Lega e del Pdl) ed Enrico Rossi (eletto con il sostegno di Pd e Sel tra gli altri).

Invece, scorrendo gli articoli del decretone che è diventato decretino, passando da 27 a 16 articoli prima dell’approvazione, questo carico di negatività non si vede. O comunque non dovunque. Cose bizzarre e strampalate ci sono, come il limite di 200 metri da una scuola per piazzare una slot, chi crede che così si faccia argine al gioco giocato dai minori non sa quel che dice. Però  studi medici aperti 24 ore su 24 con la possibilità di avere al loro interno medici generici e specialisti, laboratori di analisi, strumenti per ecografie ed elettrocardiogrammi e le strutture per la telemedicina non sembrano certo un attentato alla salute pubblica. Una simile organizzazione decongestionerebbe, migliorandone servizio e qualità, i pronto soccorsi degli ospedali oggi oberati di lavoro, dirottando sugli ambulatori h24 la grandissima parte dei casi “facili”. Oltretutto, dove questa organizzazione è stata sperimentata, ha dato ottimi risultati.

Ma le Regioni si sentono tradite perché la sanità è materia regionale e, visto il costo, controllarla significa avere potere. I medici probabilmente trovano la riforma giusta ma non vogliono lavorare di notte, i farmacisti devono vendere i loro prodotti, i centri diagnostici devono fare il loro lavoro e chi più ne ha più ne metta. Così, al grido di “ma che davvero davvero…”, al cambiamento ci si oppone. Ci si oppone per ragioni in alcuni casi ridicole e in altre sensate, ma più che altro ci si oppone per pura e semplice avversione automatica e istintiva a ciò che è nuovo. Ci si oppone anche per soldi ovviamente, anche pochissimi soldi: i medici ospedalieri che d’ora in poi dovrebbero farsi comunicare via web ogni aspetto del loro lavoro privato chiedono: e chi me le paga le spese del web?

L’unico limite concreto del decreto è quella della copertura finanziaria delle misure. I soldi non ci sono e quindi i costi devono essere coperti attraverso i risparmi da fare razionalizzando la spesa della sanità. Spesa che è obbiettivamente assolutamente fuori controllo, di risparmi e di tagli da fare ce ne sarebbero a bizzeffe, ma quest’alibi sarà probabilmente quello che più di ogni altra cosa relegherà gli ambulatori h24 e le altre novità nel capitole delle buone intenzioni che mai vedranno la luce. Se poi persino Formigoni, il governatore della regione dove il San Raffaele ha fatto crack, quello che con i “manager” della sanità andava in vacanza commenta: “Non ci siamo, e i cittadini se ne accorgeranno presto”…

L’ambulatorio h24, quello dove sette giorni su sette trovi il medico di famiglia, quello dove fai l’elettrocardiogramma e l’analisi del sangue, l’ecografia e non vai il più delle volte solo a prendere la ricetta lo bloccheranno i sindacati dei medici, degli infermieri, dei farmacisti, dei dirigenti della Sanità e gli assessori alla Sanità e…La moneta elettronica, quella con cui il resto del mondo paga gran parte dei suoi acquisti, verrà, già viene bloccata in Italia, dalle banche che esigono sproporzionate commissioni, in verità soprattutto sulle carte di credito. E da molti, troppi commercianti che temono il bancomat come “traccia” dei loro incassi reali. Il concorso scuola per aver insegnanti giovani e scelti per competenza e non solo anzianità può essere bloccato dai vari “sindacati dei precari anziani”: il governo che ci prova immagina un paese che non c’è. Il paese che c’è davvero, certe volte immagina il peggio e indovini.

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Emiliano Condò