ROMA – Referendum sul ripristino dell’articolo 18 no, quelli su voucher e appalti sì. O meglio, il primo verso il no, non si farà, e i secondi verso il sì, si faranno. Questo è l’orientamento della Consulta che tra due settimane dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità dei tre quesiti referendari proposti dalla Cgil. E nonostante ci siano differenze di vedute e spaccature all’interno della stessa Corte, il quesito riguardante l’articolo 18, quello per cui l’improvvido ministro Giuliano Poletti aveva in sostanza detto ‘meglio se andiamo alle urne prima’, sarà respinto con tutta la sua potenziale devastante carica politica. Mentre saranno ammessi i due fratelli minori.
A raccontare l’umore in seno alla Corte Costituzionale alla vigilia del pronunciamento sui tre quesiti è Roberto Giovannini su La Stampa in una ricostruzione che fa di Silvana Sciarra, una giurista del lavoro scelta dal Pd, una sorta di ago della bilancia nella partita: “come relatrice – scrive Giovannini -, sarà lei a illustrare ai colleghi le problematiche da esaminare”.
Andiamo però con ordine. Cosa chiede il quesito sull’articolo 18 proposto dalla Cgil e perché la Consulta si starebbe avviando a considerarlo inammissibile? La volontà di chi ha proposto il referendum sarebbe quella di abolire quella parte del Jobs Act, da molti considerata l’architrave della riforma del mercato del lavoro del governo Renzi, che ha cancellato dallo Statuto dei Lavoratori l’articolo che obbligava al reintegro sul posto di lavoro per i licenziamenti illegittimi.
Oggi, dopo la riforma, i datori di lavoro di aziende con più di 15 dipendenti possono licenziare i loro dipendenti anche senza giusta causa, a patto però di riconoscergli un indennizzo di tipo economico. Questo è quel che si propone l’iniziativa varata dal sindacato guidato da Susanna Camusso che però, rispetto allo stato pre-riforma estenderebbe questa tutela anche alle aziende con meno di 15 dipendenti allargando la platea sino a quelle con 5 dipendenti. Proprio per questo la Consulta sarebbe orientata all’inammissibilità del quesito: perché il referendum sarebbe quindi propositivo, e non esclusivamente abrogativo come la nostra Costituzione prevede.
Schierati per la bocciatura ci sarebbero due giudici, per la loro storia politica e personale, vicini al centrosinistra: Giuliano Amato e Augusto Barbera, che a quanto risulta insistono nel dire che il quesito dovrebbe essere respinto come propositivo, e perché riguarda materie non omogenee. Non la pensano però così altri giudici, secondo cui già in passato (e in più occasioni) la Consulta ha giudicato ammissibili quesiti referendari ‘indirettamente propositivi’, che innovavano la normativa. È il caso di alcuni referendum su materie elettorali. Di questa opinione sarebbero Franco Modugno, indicato dai Cinque Stelle nel dicembre 2015, ma anche la su citata Silvana Sciarra.
Se queste indiscrezioni venissero confermate la bocciatura rappresenterebbe un colpo durissimo per la Cgil e la Camusso che in un momento di grande incertezza politico-istituzionale avrebbe uno strumento per cancellare la tanto detestata riforma del lavoro. Tutti i sondaggi dicono infatti che se si votasse davvero, i “sì” stravincerebbero. Al contrario l’inammissibilità del quesito sull’articolo 18 sarebbe un bel favore per Palazzo Chigi e anche per Poletti che potrebbero cercare a quel punto di ammorbidire anche il quesito sui voucher varando un giro di vite per limitare in modo radicale il ricorso a quello che si è rivelato uno strumento di precarizzazione più che uno strumento a vantaggio dei lavoratori precari.
Nessun problema, invece, per i due referendum ‘minori’ sull’abolizione dei voucher e sulla responsabilità solidale per gli appalti che, come testimonia lo spazio dedicatogli dalla stampa e dalla politica, rappresentano sostanzialmente un contorno del piatto referendario.