CAGLIARI – Perdere il lavoro e finire in cassa integrazione può essere traumatico. Ma, a volte, c’è di peggio. E il peggio è essere richiamati al lavoro. La pensano, o almeno la pensavano così, due assistenti di volo di Meridiana che, dopo essere stati andati (volontariamente) in cassa integrazione, hanno fatto causa alla loro azienda, colpevole di averli richiamati al lavoro. Si sono rivolti a un tribunale niente meno, in nome del principio per cui prendere l’ootanta per cento dello stipendio senza lavorare e magari facendone altro di lavoro, è meglio che prendere il 100% dello stesso stipendio dovendo però pure lavorare.
Nel giugno 2011 – racconta Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera -, coi bilanci a picco, Meridiana, governo e sindacati (tranne l’Usb e i piloti) siglano un accordo che concede la Cigs, cioè la Cassa integrazione guadagni straordinaria, a zero ore volontaria. Maria e Donato (nomi di fantasia), come scriveranno nel ricorso, accettano. Lei dal gennaio 2012, lui dall’aprile. Fino al 2015.
Peccato però, almeno dal loro punto di vista, che appena qualche mese dopo i due ‘venivano richiamati in servizio (…) mentre si trovavano negli Usa alla ricerca di una nuova occupazione lavorativa, dopo aver ottenuto la Green Card all’esito di un dispendioso e snervante iter burocratico che ha coinvolto l’intera famiglia composta dagli stessi, quali coniugi, e dai tre figli minori’.
Turbati dal reintegro ed evidentemente dalla possibilità di dover riprendere il loro vecchio lavoro i due, invece di essere contenti come molti altri al loro posto ingenuamente sarebbero, intuiscono la manovra vessatoria della loro azienda che li vuole far lavorare e mettono tutto nero su bianco, rivolgendosi ad un giudice.
Convinti quindi di esser stati richiamati a lavorare ‘senza alcuna reale e concreta necessità e solo per carattere punitivo, ritorsivo e illegittimo’, i due tornano ma, si legge nel ricorso, ‘al loro rientro in Italia si sono recati dal medico di base e successivamente presso il Policlinico Umberto I di Roma ove è stata loro diagnosticata una ‘sindrome depressivo ansiosa reattiva’ alla quale è seguita la sospensione delle licenze di volo da parte dell’Istituto di medicina legale, con blocco lavorativo di quattro mesi, oltre al mese prescritto dal medico di base’.
A questo punto, racconta ancora il ricorso, l’azienda non paga di averli fatti tornare dagli States, manda per tre volte il medico fiscale a controllare il loro stato di salute. Ragion per cui i due chiedono al magistrato di dichiarare ‘la natura discriminatoria dei comportamenti descritti attuati dalla compagnia aerea nei loro confronti, con ordine di cessazione dei comportamenti antisindacali, discriminatori e vessatori’ e il ritorno, ‘a chiusura della malattia’, in cassa integrazione. Pari all’80% dell’ultimo stipendio. Che a volte, nei periodi di punta, grazie al numero di ore di volo, può schizzare fino a 4.000 euro.
Sfiniti, i due, che incidentalmente sono marito e moglie, felici genitori di tre figli e sindacalisti dell’Usb, quella sigla che votò contro il ricorso alla cassa integrazione nel 2011, unica insieme a quella dei piloti, salvo poi aderirvi, chiedono per questo all’azienda il “pagamento delle differenze retributive” pari per quei mesi a “4.000 euro e 4.800 euro, oltre a interessi legali” nonché “del danno biologico e da riduzione della capacità lavorativa sofferti rispettivamente per complessive 92.715,97 euro e 94.363,38 euro, o altra somma, tenuto conto del diniego di rinnovo della licenza di volo”. Che loro stessi, peraltro, avevano forzato con la “sindrome depressiva ansiosa reattiva”.
Sfortunatamente per loro però il giudice del lavoro che affronta il caso gli da torto. Forse non tanto perché ritiene, come molti, che lavorare sia meglio che essere disoccupati, ma soprattutto perché, dice il diritto, che quando si è cassa integrati si è ancora dipendenti dell’azienda e quindi, come viene spiegato e come due sindacalisti dovrebbero sapere, in caso si venga richiamati bisogna mettersi a disposizione.
Certo, cercare lavoro in America pagati, profumatamente, con i soldi dei contribuenti è infinitamente più semplice e piacevole e, in caso si rimanga senza lavoro, è anche un’ottima e forse forzata soluzione. In caso si rimanga senza lavoro però, non quando un lavoro lo si ha…
Domenica 28 settembre, Gian Antonio Stella, ha raccontato questa storia, la storia dei due impiegati in cassa integrazione che hanno fatto causa all’azienda che li ha richiamati al lavoro sulle colonne del Corriere delle Sera. Cosa che non ha fatto piacere ai lavoratori di Meridiana, o almeno parte di questi, che hanno scritta una sorta di lettera aperta a Stella dove sottolineano tutti i comportamenti a loro dire scorretti avuti dall’azienda, comportamenti che secondo la ricostruzione hanno portato all’attuale crisi.
Si legge, ad esempio:
“Stella omette anche di raccontare che Meridiana, pur trovandosi in una situazione di potenziale vantaggio derivante dalla ubicazione di ben due sue basi in Sardegna, non ha partecipato alla gara sulla continuità territoriale sarda (53 mln di € annui per cinque anni oltre ai proventi dei biglietti non proprio regalati) permettendo una vittoria a tavolino di Alitalia alla quale ha donato un’incredibile mole di voli e utili e determinando così, deliberatamente,centinaia di ulteriori esuberi.
Stella omette di raccontare che Meridiana, con migliaia di lavoratori in CIGS, paga fior di milioni a compagnie dell’est europeo che effettuano voli che ben potrebbero essere operati con personale proprio e con aerei della propria flotta, lasciati invece deliberatamente “al prato”.
Stella omette pure di raccontare del fiume di denaro erogato dalla Regione Sardegna oltre che dalle altre regioni italiane oggetto di procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea per alterazione del mercato e concorrenza sleale. Fiume di denaro pubblico devoluto esclusivamente alle compagnie straniere low cost, che ha contribuito a causare il fallimento di quasi tutti i vettori nazionali, di cui Meridiana è ormai praticamente l’unico superstite”.
Posto che non è questa la sede per assegnare colpe e responsabilità dell’attuale stato di Meridiana, ed anche supponendo che tutte le tesi contenute nella lettera scritta dall’A.L.I. l’Associazione Cassintegrati Meridiana siano veritiere, questo nulla cambia nella storia dei due lavoratori Meridiana in cassa integrazione che hanno considerato un danno da risarcire l’essere richiamati al lavoro, in nome del meglio l’80 per cento dello stipendio senza fare niente che il 100% per cento lavorando. Hanno fatto perfino causa all’azienda, per fortuna e per decenza un tribunale ha dato loro torto.