Bilancio di 30 anni di condoni: duemila miliardi evasi, cento pagati

ROMA – Berlusconi lo vuole, il governo dice invece di non volerlo. Il Pdl lo vuole, Bossi dice di no. Cicchitto chiama “Savonarola” chi non lo vuole, Scilipoti dice di averlo voluto per primo, Tremonti spiega che per l’Europa “non vale”. E’ la quadriglia del condono. Condono sì, condono no. Qualche ministro propone, governo smentisce e qualche altro membro di maggioranza rilancia. Ma il condono, fiscale e/o edilizio, conviene? In altre parole, con i condoni, lo Stato, la comunità, guadagna o perde? Due conti ha provati a farli il Sole24Ore e, calcolatrice alla mano, ha scoperto che i condoni non solo non convengono, ma anzi costano alla collettività.

E i conti sono questi, su dati del ministero dell’Economia e della Corte dei Conti ed elaborati dal quotidiano di Confindustria. Partiamo dai condoni fiscali partendo dal condono generale del 1982: l’evasione nel periodo preso in esame dal provvedimento ammontava a circa 270 miliardi di euro, ne sono stati recuperati scarsi 19. Dieci anni dopo stesso condono generale, ancora 270 miliardi evasi e appena 14 recuperati. E’ poi la volta del concordato 1994/97, 216 miliardi evasi e nemmeno 9 recuperati. Infine il condono tombale del 2002/3, ancora 270 miliardi evasi e oltre 24 recuperati. Per quanto riguarda poi i condoni previdenziali, con la sanatorie generali 1983-97, a fronte di 883 miliardi evasi ne sono stati incassati 22.

Per quanto riguarda infine i condoni edilizi non ci sono ovviamente stime sull’evasione da recuperare ma, come spiega l’Anci, l’associazione dei comuni italiani, non è un buon affare. «I costi che dobbiamo sopportare – spiega il vicepresidente con delega all’edilizia, Roberto Reggi, sindaco Pd di Piacenza – per gestire le pratiche e per realizzare le opere di urbanizzazione è sicuramente superiore a quanto gli enti locali incassano di oneri pagati dai privati». Ma è difficile quantificare, visto che gli oneri variano da Comune a Comune. Ci ha provato Paolo Berdini, ingegnere, autore di una Breve storia dell’abuso edilizio in Italia: «Prendiamo l’ultimo condono, quello del 2003: a fronte di un importo medio di 15mila euro versato per il singolo abuso il Comune ne ha spesi in media almeno 100mila per portare strade, fognature e scuole». Per non parlare dell’evasione. C’è chi versa solo la prima rata dell’oblazione in modo da far «incamminare» la pratica, poi stop: le altre si pagano solo se la sanatoria serve veramente e va ritirata. «Solo a Roma ci sono 6mila pratiche pronte e mai ritirate» confermano all’Urbanistica.

Il condono pesa quindi molto sulla collettività. E’ chiaro che nessuno può pensare che l’evasione senza condono potesse essere recuperata in toto, sarebbe un’utopia ed un modo di fare i conti fuori dal reale. Ma la cifra recuperata si aggira, mediamente, intorno al 5/6% dell’evaso e sull’evaso mette una pietra determinandone l’inesigibilità. Un poco per ritenersi soddisfatti. Oltretutto poi i condoni, anche quelli solo proposti, generano nuova evasione per l’aspettativa che danno agli evasori di cavarsela con poco, “tanto poi arriva il condono”.

 

Ci sono poi anche altri costi, certo minori, ma non irrilevanti, e sono i costi amministrativi, cioè le energie profuse per la gestione dei condoni. Su questi costi non ci sono stime precise né dati ufficiali, ma è noto che per almeno tre mesi, in occasione del condono 2002/03, le Entrate hanno bloccato tutte le attività di accertamento per dedicarsi all’analisi delle domande.

 

Costa quindi il condono, edilizio, fiscale o previdenziale che sia. E costa anche solo parlarne. Ma chi anima allora il partito dei prosanatoria, e perché? La risposta al perché non è semplice, mentre facilissimo è conoscere chi il condono lo vuole. La questione è tutta interna alla maggioranza perché all’opposizione, almeno a parole, tutti bocciano categoricamente l’idea di nuove sanatoria, ed è una questione che scuote i vertici come la base del principale partito di governo. Il partito campano del condono è molto attivo, ieri (10 ottobre), per dirne una, a Napoli il coordinatore regionale campano, Nicola Cosentino, ha incontrato gli amministratori locali ribadendo l’impegno del Pdl «a trovare una soluzione alla questione abbattimenti». Questione che ha già prodotto, un anno fa, una mobilitazione ad hoc per salvare alcune abitazioni a Ischia, con l’effetto di fermare ruspe. Ieri Cosentino ha chiuso la riunione con una dichiarazione: «Il governo nazionale — ha detto — è al lavoro sul decreto Sviluppo, provvedimento verso il quale abbiamo molte aspettative…». Ma il partito campano pro condono viene da lontano, molto prima che Cicchitto scendesse in campo a favore della nuova sanatoria. A fine agosto i parlamentari del Pdl Amedeo Laboccetta e Antonio Mazzocchi avevano già raccolto 40 firme di colleghi per introdurre una sanatoria nell’ultima manovra. «Oggi ne siamo ancora più convinti — dice Laboccetta —, non c’è niente di cui vergognarsi. La pensano così anche a sinistra, dove si guardano bene dal venire allo scoperto…». Tra i 40 ci sono tre «cosentiniani»: Maria Elena Stasi, ex prefetto a Ischia, Sant’Antimo e Caserta, Luigi Cesaro, ex socialista di Sant’Antimo, il cui nome è comparso anche in una delle inchieste sui casalesi, e Giovanna Petrenga, già sovraintendente a Caserta e Benevento e direttrice della Reggia di Caserta.

Quello campano non è però che uno dei filoni del partito pro condono. Un secondo troncone è riconducibile ai cosiddetti «responsabili», Domenico Scilipoti in testa, che il 14 settembre, mentre si approvava la manovra, riuscì a far passare un ordine del giorno che chiedeva di prendere in considerazione un condono fiscale e uno edilizio. Oggi Francesco Pionati (Alleanza di centro) dichiara: «In questo momento di crisi generale non servono pregiudizi ideologici. Il centrosinistra ha usato il condono altre volte in caso di necessità. Noi stiamo ballando sull’orlo del vulcano, bisogna usare il raziocinio: se è utile per far cassa ben venga». Più prudente Massimo Calearo: «Dal punto di vista etico sono contrario. Da un punto di vista pratico sono favorevole. L’importante è che una volta attuato si cambino le regole: il giorno dopo chi becco a evadere va in galera». Mentre per Silvano Moffa è «meglio parlare più di concordato fiscale che non di condono».

Di sanatoria però si parla ormai anche nel vertice del partito, al fianco del capogruppo si sono schierati apertamente i due coordinatori Denis Verdini e Ignazio La Russa. E poi ci sono Massimo Corsaro e Maurizio Gasparri e i ministri Saverio Romano e Raffaele Fitto.

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Emiliano Condò