NEW YORK – “Siamo sorpresi che finora sia comparso un solo caso fuori dall’Africa”. La pensa così quello che La Stampa definisce “un esperto operativo impegnato a contenere il virus”. Ovviamente del virus di Ebola si parla e, a pensarla così, probabilmente sono molti più del solo esperto in questione. E’ infatti un mezzo miracolo che, sino ad oggi, il terribile virus sia rimasto praticamente confinato all’interno del continente nero. Anche volendo però recitare la parte degli ottimisti senza se e senza ma, è difficile pensare che il miracolo si ripeterà in eterno e che di Ebola continueremo a occuparci leggendo cronache e seguendo notiziari. Il virus infatti è quantomeno probabile che arriverà anche da noi, in Europa, e la domanda è: come reagiremo?
Oggi a Dallas (Texas) mettono in quarantena una famiglia e contemporaneamente molte famiglie valutano se fare a meno di mandare i figli a scuola per un po’. Ci sono in giro a Dallas un centinaio di persone che hanno avuto contatti con un malato di Ebola arrivato in città. Forse non era contagioso quando li ha incontrati o forse lo era, devono attendere due/tre settimane per avere la risposta, settimane di angoscia. E quei cento e se qualcuno di quei cento risultasse contagiato, con chi altri ha avuto contatti? E’ la giostra maligna e maledetta, la esponenziale dinamica del contagio. Oggi accade a Dallas/Texas, domani dove accadrà? A Marsiglia o Manchester o Bari/Europa.
E allora, a sbarco avvenuto di Ebola nel mondo dei bianchi, quarantene e prevenzione diventeranno esperienza non più esotica per gli europei. Ebola non ci sterminerà certo ma dovremo combatterlo con idee, organizzazione, risorse. Ci vorranno scienza e fatica, soldi e governo per fermarlo. E sarà fermato ma non certo per volontà divina o scongiuro di massa.
Ebola ha mietuto sinora circa 5mila vittime, ma sono morti neri quindi… Vittime di cui il nostro mondo, quello che possiamo definire il “mondo dei bianchi”, almeno in contrapposizione al nero del continente africano, si è curato poco o nulla. I virus però non sono razzisti, non fanno differenze e non hanno gusti basati sul colore della pelle. In una prima fetta del mondo dei bianchi in realtà Ebola ha già fatto la sua assolutamente rumorosa comparsa. In attesa della prima vittima è infatti allarme, e panico, negli Usa. Lì, oltreoceano, a Dallas c’è almeno un contagiato ufficiale: Thomas Eric Duncan. L’uomo ha contratto il virus in Liberia e poi, forse sospettando di essere malato, si è imbarcato su un aereo diretto negli States, dove vive la sorella, magari sperando di poter contare su cure migliori. Scelta forse umanamente comprensibile ma potenzialmente disastrosa. Anche in considerazione del fatto che il suo non era un volo diretto.
“Sappiamo per certo che Duncan era partito da Monrovia – racconta Paolo Mastrolilli su La Stampa -, dopo aver contratto l’Ebola aiutando una giovane ragazza malata, Marthalene Williams. La donna era figlia dei proprietari della sua casa, aveva 19 anni ed era incinta. Thomas l’ha portata in ospedale e così è stato contagiato. Le autorità della Liberia ora sospettano che sapesse di essere malato, e quindi è partito per gli Stati Uniti con la scusa di andare a trovare la sorella Mai Wureh, che vive a Dallas. In realtà, come cercano di fare tutti gli africani sfiorati dall’Ebola, voleva venire in America sperando di essere curato meglio. Perciò ha mentito nel questionario all’aeroporto, negando di aver avuto contatti con malati. La giustizia del suo paese ora vuole processarlo, se mai sopravviverà. Da Monrovia Duncan è volato a Bruxelles.
In quel momento non presentava ancora i sintomi e quindi non era contagioso, ma siccome nessuno ha detto tutta la verità su questa storia, c’è chi teme che in realtà li stesse nascondendo. Da Bruxelles ha preso un volo per Washington, aeroporto Dulles, e da li è andato a Dallas. Ha volato con la United Airlines, e anche se le autorità sanitarie americane insistono che i circa 400 passeggeri non erano a rischio, la compagnia aerea li sta avvertendo tutti. E i suoi titoli intanto precipitano a Wall Street. Una volta passati i controlli alla frontiera di Dallas, Duncan è andato agli Ivy Apartments, su Fair Oaks Avenue, dove vive la sorella. Il 24 si è sentito male, il 26 è andato al Texas Health Presbyterian Hospital, ma lo hanno rimandato a casa con un po’ di antibiotici. Solo il 28, dopo aver vomitato in mezzo alla strada davanti alla casa della sorella, è stato ricoverato. Dunque tutte le persone entrate in contatto con lui fra il 24 e il 28 ora potrebbero essere malate”.
Insieme al virus in America è sbarcato anche un compagno inseparabile di questo: il panico. Casi sospetti sono stati segnalati alle Hawaii, nello Utah e a New York anche se, persino a Dallas, la reazione della popolazione è per il momento composta. Pronta però a degenerare se al caso 1 seguirà il caso 2, e poi il 3… Se però non fosse Duncan a portare il virus anche nel vecchio continente con la sua puntata a Bruxelles, è comunque probabile che questo ci arriverà comunque. E non portato dagli immigrati clandestini come farneticano razzisti di varie risme e casacca politica – Ebola uccide molto più velocemente di quanto un immigrato impieghi ad attraversare il Sahara, per dire -, ma grazie all’aereo, il mezzo di trasporto più veloce, comodo e a lungo raggio che esista, anche per i virus. Quando il prossimo signor Duncan arriverà in Italia, o in Francia o comunque nei nostri pressi, ci sarà probabilmente chi griderà al complotto delle aziende farmaceutiche che, aiutate magari dalla Spectre, hanno organizzato tutto solo per far soldi vendendo vaccini. Magari ci fosse un vaccino da acquistare.
E ci sarà anche probabilmente chi spiegherà che l’arrivo del virus altro non è che la volontà del Signore che ci sta punendo e che, a buon bisogno, il mondo sta per finire. E’ già successo in passato, è già successo con la peste e non si vede perché non dovrebbe accadere di nuovo. E ci saranno come sempre eccessi di panico urlante e titolante e corrispettivi eccessi di prudenza silenziosa ed omissiva. Ma quando Ebola sbarcherà nel nostro mondo, e quando magari non tra le vittime ma tra i potenziali contagiati cominceranno ad esserci i nostri vicini, i compagni di classe dei nostri figli e quindi noi, a quel punto dovremmo cominciare ad occuparci della questione non come di una notizia curiosa che arriva da lontano, ma come di una crisi in grado di far impallidire le tensioni nate dal conflitto in Ucraina o le problematiche legate allo Stato Islamico. Avremmo dovuto e magari potuto farlo prima, ma quando Ebola arriverà farlo non sarà più una scelta.
E speriamo che non abbia ragione Anthony Banbury, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon per l’emergenza Ebola, che avverte: “Più il virus circola fra gli esseri umani, più aumenta il pericolo che muti e diventi trasmissibile per via aerea”. Se questa possibilità dovesse divenire reale, allora potremmo vedere con i nostri occhi quello che credevamo di poter conoscere solo attraverso i libri di storia.