ROMA – Dubbi non ce ne sono ormai più: a far schiantare l’aereo della Germanwings è stato uno dei due piloti, il secondo per la precisione. Un ragazzone tedesco di 28 anni che di nome fa, anzi faceva, Andreas Lubitz. Una per alcuni versi orribile scoperta che, oltre ad aprire e risvegliare alcune mai sopite inquietudini di chi volare non ama, fa sorgere un interrogativo certamente marginale ma non privo d’interesse: e il portellone del carrello rotto, l’Airbus 320 fragile, l’anzianità del velivolo in dotazione alla casa tedesca, le low cost insicure e tutte le altre dotte e documentatissime spiegazioni fornite dai media di mezzo mondo sulle non solo possibili ma addirittura probabili cause del disastro, che fine hanno fatto?
Non hanno fatto nessuna fine, vivono e lottano insieme a noi, sono infatti notizie/leggende. La risposta è ovviamente semplice ed è tutta contenuta nella somma dei termini ‘notizia’ e ‘leggenda’. Si sono cioè fornite spiegazioni che avevano sì una parte di verità, come le leggende, ma venivano vendute come notizie, che sarebbero in teoria se non delle verità assolute di certo dei fatti empiricamente sperimentabili e documentabili. Le leggende non si sobbarcano questo fastidio della sperimentabilità e della verifica empirica, le leggende per definizione aleggiano.
Aleggia la storia delle compagine low cost meno sicure delle altre? Aleggia, nonostante i numeri, le cifre, le esperienze concrete. Aleggia la storia dell’aereo A320 fragile? Aleggia su paginoni di illustri quotidiani. Nonostante le cifre, i numeri, l’esperienza empirica. Aleggia il portellone maledetto, il sensore assassino…
Non si tratta in questo caso di sottolineare come quel tal quotidiano abbia fatto due pagine per dire che l’aereo di produzione europea era una sorta di bara volante, come non serve puntare il dito con quell’altro tg che ha scoperto come proprio l’aereo caduto martedì avesse avuto il giorno prima problemi al vano del carrello anteriore. Non serve perché tutto l’universo dei media, compresi quelli più stimati che italiani non sono, si è infilato e incaponito nella corsa, rivelatasi senza senso, a fornire per primi la spiegazione del disastro. E lo hanno fatto, i media di tutto il mondo, perdendo completamente di vista quella che dovrebbe essere la bussola fondamentale di chi racconta il mondo: si sono cioè dimenticati di inserire nella valutazione delle notizie e della spiegazione dell’aereo il parametro dell’attinenza e, soprattutto, il dubbio.
Facciamo qualche esempio. Una delle spiegazioni più gettonate e ragionate, cioè non nate sulla base di un fatto concreto ma vantando analisi sedicenti approfondite, è stata quella che dipingeva l’Airbus, e in particolare il modello caduto, come un aereo inaffidabile. Senza bisogno di sottolineare che il modello in questione è uno dei più diffusi al mondo e con una percentuale d’incidenti di circa 2,5 ogni milione di decolli (e non si tratta di incidenti con vittime perché per quelli si scende a circa 1,5 per milione), sarebbe bastata una conversazione con un qualsiasi pilota per capire che si trattava di una spiegazione bufala. Come ci ha infatti spiegato un pilota di linea di una delle più importanti compagnie del mondo con oltre 15mila ore di volo alle spalle, esiste una sorta di divisione in scuole di pensiero tra chi è pro Airbus e chi pro Boeing, anche tra i piloti stessi. Ma questo non perché uno sia più sicuro dell’altro, ma perché i due giganti produttori di aerei hanno due filosofie di base diverse: “La Boeing fa un tubo e ci mette due motori super potenti, l’Airbus usa motori più piccoli ma ha un’attenzione spasmodica per l’efficienza aerodinamica”. In pratica l’antica question tra forza e agilità riproposta a 10mila metri e 900 chilometri orari. Differenze che spiegano le preferenze per un modello o per un altro da parte di chi li deve guidare, ma che certo non significano che uno sia più sicuro dell’altro.
Tra le spiegazioni e le notizie leggenda che si sono susseguite nella 48 ore circa passate tra lo schianto e l’ascolto della scatola nera, c’è poi quella che puntava il dito contro il portello del vano carrello anteriore che il giorno prima dell’incidente era rotto. Sul tema, pensose analisi hanno sottolineato come questo si sarebbe potuto staccare squarciando la carlinga e provocando una depressurizzazione mortale. E ovviamente era una ricostruzione infondata assolutamente perché, se tutti gli aerei che il giorno prima erano in manutenzione dovessero precipitare, ci converrebbe tornare alle navi per viaggiare. Tutti gli arei infatti, chi più chi meno, hanno ogni tanto problemi che vengono serenamente risolti, come accadrebbe a qualsiasi dispositivo creato dall’uomo e usato ogni giorno per anni. E poi, sia detto per inciso, il portellone del carrello anche se non si chiude come mai potrebbe indurre depressurizzazione in cabina? Mah…
Prima di arrivare alla scoperta del problema al carrello, a caldo, aveva preso piede anche la spiegazione secondo cui le low cost sono insicure e, all’obiezione che la Germanwings è, di fatto, Lufthansa, si rispondeva piccati che comunque alla ‘sorella’ minore la compagnia tedesca passava solo gli aerei vecchi, per questo insicuri. Peccato che l’incidente di martedì, che tra l’altro non è nemmeno un incidente, fosse il primo che coinvolgeva una low cost.
E poi i problemi ai sensori che ghiacciano, problema che ha probabilmente ha causato la caduta del volo Air France tra Rio de Janeiro e Parigi ma che, proprio dopo quell’incidente, sono stati sostituiti tutti e, quando è ricomparso su un volo proprio della Lufthansa di qualche mese fa, è stato risolto dai piloti senza nessuna conseguenza.
E poi, e poi, e poi ce ne sarebbero ancora di esempi ma, a differenza di quel che diceva Totò, in questo caso non è il totale a fare la somma. Nel caso del volo Germanwings si è persa di vista la realtà dei fatti, che tra l’altro diceva chiaramente che il “mistero” sarebbe stato velocemente risolto essendo schiantatosi il volo su una montagna, cosa che rendeva e ha reso il recupero della scatola nera relativamente semplice. Nonostante questo, pungolati dall’ansia di essere i primi ad indovinare la causa del disastro, si è scelto di cavalcare spiegazioni che, appunto, provavano ad indovinare. In mancanza di indovini, eccoci allora tutti a intrattenere, narrar leggende intorno ai fuochi delle redazioni.