ROMA – Grillo ha detto: al voto il 10 di settembre, così la Casta parlamentare perde il vitalizio che scatta il 15 settembre. Non è vero, è una piccola bugia molto ignorante, buttata lì per abbellire, indorare la verità. E la verità è…proporzionale per tutti.
Andare a votare con una legge proporzionale piace (quasi) a tutti: Berlusconi, Salvini, Grillo, Bersani e Renzi pure ci sta. Se non fosse per la grande contraddizione che contiene il placet quasi generale alla proporzionale. Eccola: se voti con la proporzionale poi per forza e per natura delle cose si deve fare un governo di alleanze, coalizioni. Ma tutti i proporzionalisti dicono governo di coalizione uguale anatema o bestemmia, anzi orrido inciucio. Allora sono matti, orbi, bipolari ma in senso clinico e non politico?
Infine la grande incognita, la terra di nessuno, dove nessuno è mai andato e di cui pure pullalano resoconti di immaginari esploratori: votare a settembre/ottobre come in Italia non si è mai fatto fa male all’economia, al bilancio, alla stabilità oppure fa bene alla tre cose oppure non fa né caldo né freddo?
Piccole bugie, grandi contraddizioni, un’enorme incognita e la fine di una ‘tradizione’ vecchia come la Repubblica. L’adozione del modello elettorale tedesco porta con sé questo: la bugia dei 5Stelle sui vitalizi, tanto demagogica quanto innocua; la contraddizione di chi si dice contrario, anzi avverso alle coalizioni ma dice sì al cosiddetto modello tedesco, che alle coalizioni obbliga; l’incognita del cambio di governo a cavallo di una legge di bilancio da varare e il voto, per la prima volta nel dopoguerra, in autunno.
Dopo l’ok del blog di Grillo all’adozione del modello elettorale in uso a Berlino, arrivato ieri con percentuali come spesso accade bulgare, la risposta all’ormai annosa domanda ‘con che legge voteremo’ – domanda che risuona dal dicembre scorso – potrebbe essere e anzi è vicinissima. Basta infatti che anche Renzi dia il suo ok e la maggioranza per approvare una legge elettorale ricalcata sul modello tedesco sarebbe non solo sufficiente ma anzi ampissima. Ci sta anche Berlusconi nonostante la mossa grillina lo renda un partner e non un protagonista.
“Concluse le votazioni su Rousseau per la proposta di legge elettorale. Hanno partecipato 29.005 iscritti certificati, 27.473 sì e 1.532 no”, ha twittato l’ex comico raccogliendo i frutti di quella che è l’ennesima leggerezza interpretativa che il suo blog dà in pasto agli elettori. Grillo indica il 10 settembre come ideale “election day” in quanto, argomenta sul suo blog, sarebbe “un atto di delicatezza istituzionale”: i nostri “onorevoli” non farebbero più in tempo a maturare “la vergogna del vitalizio” che scatta dal 15 settembre in poi.
Una piccola ma sonora bugia. Chiunque capisca di diritto parlamentare infatti, ma anche chi abbia letto qualche volta qualche cronaca sul tema, sa che la legislatura non termina il giorno delle elezioni (come crede o fa credere il blog), ma quando si riuniscono per la prima volta le nuove Camere. E che questo giorno arriva 15 giorni dopo quello del voto. Ed è quindi evidente che votare il 10 settembre non basterebbe comunque ad evitare la “vergogna”, ma bisognerebbe anticipare addirittura dalle parti Ferragosto il voto. Ipotesi altrettanto evidentemente inesistente. Se quella dei vitalizi è una bugia sostanzialmente innocua, figlia di semplice ignoranza o superficialità, nell’adozione del modello tedesco è insita una ben più sonora contraddizione. Contraddizione che non riguarda solo i 5Stelle.
Il modello tedesco è infatti un modello sostanzialmente proporzionale, e un simile modello sembra ora stare bene più o meno a tutte le forze politiche. Compresi quei partitini che, con un’aggiustata alla soglia di sbarramento, portata dal 5% tedesco ad un più italiano 4%, faranno buon viso a cattivo giuoco. Eppure quasi tutte le forze politiche urlano e si professano contrarie ai governi di coalizione, agli inciuci, agli accordi sotto banco e alle varie declinazioni che questa pratica assume nelle varie partiture. Sorprende come possano convivere la propensione al modello proporzionale e l’avversione alle coalizioni visto che il primo è, naturalmente, il genitore delle seconde. E proprio la Germania ne è la dimostrazione. E poi c’è l’incognita del voto e soprattutto del cambio di governo a cavallo del varo della legge di bilancio.
Votare in autunno infrangerebbe, come scrive Federico Geremicca su La Stampa, “una sorta di regola non scritta che vuole l’Italia alle urne sempre e soltanto in primavera (anche in caso di voto anticipato). Infatti, dalle prime elezioni libere e democratiche dopo il ventennio fascista (18 aprile 1948) il Parlamento è stato rinnovato altre 16 volte e – escluse le ultime elezioni del febbraio 2013 – sempre in primavera: in 6 occasioni ad aprile, in 5 a giugno, in 4 a maggio ed una volta (nel 1992) a marzo, con la discesa in campo e la vittoria di Silvio Berlusconi. Anche in fasi terribili per il Paese, insomma – dal terrorismo brigatista degli Anni 70-80 allo stragismo mafioso, fino alle fasi di acutissima emergenza economica – questa regola non scritta ha sempre retto. Stavolta, invece, le cose potrebbero andare diversamente”.
E farle andare diversamente non solo rappresenterebbe un novità rispetto alle abitudini, ma farebbe coincidere il passaggio di legislatura con la scadenza della legge di bilancio che va presentata entro metà ottobre. Una vera e propria incognita perché ha ottimi argomenti sia chi vorrebbe evitare questa sovrapposizione sia chi, al contrario, considera un bene che sia un nuovo esecutivo ad affrontare il tema. La scelta è infatti tra una manovra confezionata da un governo dimissionario, quindi per sua natura debole e incapace di prendere iniziative che vadano oltre la normale amministrazione – vale a dire che un simile governo non può varare nuove tasse o nuovi sconti ma può solo far quadrare il bilancio con qualche ‘aggiustata’ qui e là -, o ‘bucare’ l’appuntamento di metà ottobre e arrivare in ritardo alla presentazione di una manovra che però avrebbe, in questo caso, dalla sua la forza di un governo appena nato e con un lungo orizzonte temporale davanti. A patto, ovviamente, che dalle urne non esca un sostanziale pareggio che, come è noto, i sistemi proporzionali non scongiurano.