Germania-Italia: 50 a zero. Solo all’Azteca finì 4 a 3 per noi

Rivera batte Maier: Italia-Germania 4-3

ROMA – Italia / Germania, dal 1970 in poi, è sinonimo di quattro a tre dopo il giudizio di dio dei supplementari. Risultato di quella che fu una partita eroica rimasta negli annali come una delle più belle di sempre. Ma era solo calcio. Nella realtà Italia / Germania finisce 0 a 50, cinquanta a zero per i bianchi contro gli azzurri se si gioca nei campi dell’economia, dei servizi, del reddito, della società, della vita pubblica. Dalla pressione fiscale agli autobus, dalla spesa pensionistica ai tempi per ottenere i permessi per avviare un’attività, dal numero di occupati al grado di istruzione, i tedeschi ci battono, quando non ci stracciano, su tutto.

Se lo spread tra titoli italiani e titoli tedeschi, che si aggira ora intorno ai 500 punti, è divenuto ormai lo spauracchio di tutti gli italiani, meno noti sono gli altri spread che segnano il nostro ritardo rispetto alla Germania. Il primo, la spread tra Bund e Btp, è in realtà solo il risultato della somma di tutti gli altri che rappresentano, in maniera netta, le differenze tra i due paesi. E spiegano perché i capitali internazionali preferiscono Berlino a Roma.

L’ufficio studi della Confartigianato si è preso la briga di mettere in fila 50 diversi spread tra Italia e Germania. Cinquanta diverse voci di confronto tra i due paesi che vanno dalla finanza pubblica alle infrastrutture, dal lavoro al costo dei servizi, sino alla pubblica amministrazione e alla concorrenza. E su 50 voci, l’Italia, perde 50 volte.

Tra i campi presi in esame da Confartigianato c’è un po’ di tutto: lo Stato, ad esempio, in Germania paga i suoi fornitori in 35 giorni, mentre in Italia ne servono in media 180. Poi la pressione fiscale: per i tedeschi al 39,7, tre punti meno del 42,6 italiano, ante manovra Monti. La ricchezza pro capite, -22% la nostra, rispetto ai tedeschi. Per esempio la spesa pubblica: cresciuta negli ultimi dieci anni, senza considerare gli interessi sul debito pubblico, a un ritmo triplo di quella tedesca che ha pure avuto il gravoso compito di ammortizzare la riunificazione con l’Est e le conseguenze, per loro certamente più gravi che per noi, della crisi finanziaria del 2008. Per esempio il costo dei dipendenti pubblici: quello dei nostri rappresenta l’11,1% del Pil, quello dei loro il 7,9%. Per esempio le tariffe dei servizi pubblici: aumentate in Italia, quest’anno, otto volte più che in Germania. Per esempio il sequestro di articoli contraffatti: 262 ogni mille italiani, 29 ogni mille tedeschi. E poi le tariffe delle assicurazioni che in Italia salgono di quasi il 5% mentre in Germania scendono dell’1,5%. E l’energia, più cara in Italia del 23%. E dei servizi finanziari il cui costo in Germania scende del 3,4% e in Italia, invece, sale del 2,6%.

Meglio non avventurarsi poi nel paragrafo lavoro, dove gli spread sono stellari. E non soltanto per un tasso di disoccupazione ufficiale evidentemente “menzognero” per la gran quantità di persone senza lavoro che non cercano e quindi non figurano nelle statistiche. Nel periodo della crisi, fra il secondo trimestre del 2008 e lo stesso periodo del 2011, il numero dei posti di lavoro è calato del 2%, contro un incremento del 3,7% in Germania. In Italia risulta occupato soltanto il 38% delle persone fra 55 e 64 anni, a fronte del 62,5% dei tedeschi della stessa fascia di età. Il che spiega in parte perché la nostra spesa pensionistica tocchi il 16% del Pil, mentre in Germania supera appena il 13%. Per non parlare dei giovani e delle donne. Il tasso di occupazione degli italiani fra 15 e 24 anni è del 20,5%; quello dei tedeschi è del 46,2%. In Italia i lavoratori sotto 30 anni di età impegnati in percorsi di formazione sono il 7,5%, in Germania toccano il 38,3%.

Verrebbe voglia di fermarsi scorrendo la lista, e di tornare a guardare gli azzurri, dal 1970 alla finale di Berlino del 2006. Lì si che gliel’abbiam fatta vedere ai tedeschi. Ma il calcio è un gioco, anche se il più bello del mondo. Le donne occupate allora: in Italia sono il 46,1% del totale, valore più modesto dell’Unione Europea. In Germania, il 66,1%. Il grado di istruzione poi, tra gli adulti (dai 25 ai 64 anni) italiani non è andato oltre le medie inferiori il 44,8% delle persone; tra i tedeschi appena il 14,2% non ha raggiunto almeno il diploma.

Meglio non parlare della burocrazia e della corruzione. Non è un caso che le classifiche di Transparency International collochino l’Italia al 69° posto, ben cinquantacinque posizioni sotto la Germania. Doveper ottenere una licenza di costruzione bastano 97 giorni, mentre nel nostro Paese ne sono necessari mediamente 258. Aun prezzo, per giunta, quasi triplo. Mentre per avviare una qualsiasi attività in Italia si spende cinque volte di più. Completare le procedure burocratiche di import-export richiede inoltre 38 giorni, contro 14 inGermania, e con un costo, calcolato sul container, del 36,7% superiore.

Come non toccare poi il capitolo della celere giustizia italiana. Per risolverle un contenzioso civile il tribunale civile italiano può impiegare 1.210 giorni, quello tedesco 394. Senza considerare il divario sempre più profondo nel campo delle infrastrutture. Cominciando da quelle per le tecnologie più avanzate. La connettività Internet con banda larga nel territorio tedesco è superiore del 50% alla nostra. Del resto, il 37% dei cittadini dialoga via web con la pubblica amministrazione, in Italia ci si ferma al 17%. La rete ferroviaria italiana è del 40% circa meno sviluppata di quella della Germania. Ovvio, quindi, che viaggi su ferro il 20,9% delle loro merci, a fronte di un misero 9% in Italia. Anche nel campo delle autostrade siamo paurosamente indietro. Tanto più tenendo conto che abbiamo il più elevato numero di automobili del mondo in rapporto alla popolazione, con le uniche eccezioni dell’Islanda e del Principato di Monaco. In dieci anni la rete autostradale italiana si è incrementata del 2,3%: cinque volte meno di quella tedesca.

Per capire la “differenza” tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi, sono queste le voci che vanno lette. Altro che campioni del mondo, da Berlino l’Italia esce sconfitta su tutta la linea con un secco50 a zero.

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Alberto Francavilla