Licenziamenti e Cassa statali già leggi: 1966 e 2001. Governo ok al 38%

La lettera di Berlusconi alla Ue

ROMA –Tasso di fattibilità media: 38 per cento. E’ questa la percentuale, un po’ disperante assegnata al nuovo programma in otto mesi di governo destinato a far durare il governo diciotto di mesi. Quindi al 62 per cento non si può fare o non si farà. Ma anche due sorprese e di quelle grosse: due delle cose che il governo vuole fare sarebbero in realtà già “fatte”, addirittura già leggi. Il licenziamento per motivi economici è in realtà già legge dal lontano 1966. Ma non si fa, per ottimi o nobili e meno ottimi e nobili motivi. E La Cassa Integrazione per i dipendenti statali è stata introdotta nel 2001, c’è ma non si applica di fatto per comprensibili ma non sempre inattaccabili motivi e abitudini. E’ davvero un singolare paese quello che stende un piano di auto salvezza e firma impegni con l’Europa attuabile al 38 per cento e quello che dimentica per decenni, per sana opportunità o semplicemente per calcolo opportunistico le leggi che si è dato.

Il premier Silvio Berlusconi ha consegnato i compiti che l’Europa gli aveva assegnato. Si è presentato a Bruxelles con la sua brava letterina che è stata giudicata “molto buona” da chi gliela aveva chiesta. Ma la lettera redatta dal nostro Governo è una lettera di praticabili intenti o più una lista di buoni propositi come quella che si fa per l’anno nuovo? Ai posteri l’ardua sentenza si potrebbe dire, ma non ci sarà bisogno di aspettare tanto per sapere se quell’inchiostro si trasformerà in realtà o se, al contrario, rimarrà su carta.

I tempi, laddove indicati, sono infatti molto brevi, e quindi l’arcano sarà presto svelato. Nell’attesa il Corriere della Sera si “diverte” a fare un pronostico assegnando percentuali di fattibilità agli impegni presentati. Il risultato fa somigliare la lettera all’elenco delle buone intenzioni che verranno, perlopiù, disattese. Il tasso di fattibilità medio è stimato al 38%, cioè c’è poco più di una possibilità su tre che le riforme promesse siano fatte. E questo, nonostante, due dei punti promessi a Bruxelles, cioè licenziamenti per ragioni economiche e cassa integrazione più mobilità per gli statali, siano in realtà riforme già fatte e introdotte, ma inapplicate.

Licenziamenti, pubblico impiego, fisco, scuola e privatizzazioni. La lettera italiana all’Europa promette riforme praticamente in tutti i campi più importanti del “vivere sociale”, e le promette in termini brevi, anzi brevissimi, mesi per esser varate e pochi anni per entrare a regime. Già questo basterebbe a far dubitare in generale della credibilità di simili promesse in un paese dove, per cambiare qualcosa, anche minima, di solito servono tempi biblici. Ma il beneficio del dubbio si concede a tutti e, questa volta, a pressare perché le riforme si facciano c’è un motivo forte: o si fanno o si rischia “il botto”.

“Entro maggio 2012 una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato”. A questa promessa il tasso di fattibilità assegnato è bassissimo, appena il 25%. Sindacati di nuovo uniti e opposizioni varie rappresentano infatti un fuoco di sbarramento difficile da superare. In realtà una legge in questo senso già esiste, da 55 anni, ma è lettera morta. Il licenziamento per motivi economici è infatti già possibile per i licenziamenti collettivi – ad esempio un’azienda che chiude – ma anche individuali, nella fattispecie del giustificato motivo oggettivo, previsto dalla legge 604 del 1966, per “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

Nella realtà, però, è molto difficile procedere perché spetta al datore di lavoro l’onere della prova, cioè dimostrare che il licenziamento è per motivi economici e non per altre ragioni. Se il giudice non si convince, concluderà che manca il giustificato motivo e, ai sensi dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ordinerà all’azienda il reintegro nel posto di lavoro. Non servirebbe quindi una vera e propria riforma, basterebbe applicare una legge esistente fornendo, al massimo, qualche semplificazione.

“Renderemo effettivi con meccanismi cogenti-sanzionatori: la mobilità obbligatoria del personale, la Cassa integrazione guadagni, il superamento delle dotazioni organiche”. Anche in questo caso la legge già c’è, anche se da meno tempo, da “appena” dieci anni. La licenziabilità dei dipendenti pubblici esiste e ha persino un suo nome ad hoc: disponibilità, ma non viene applicata. Introdotta nel 2001 prevede che il dipendente che non sia possibile impiegare diversamente o che non abbia accettato altra ricollocazione, venga messo in “disponibilità” con l’80% dello stipendio per un massimo di 24 mesi, al termine dei quali il rapporto s’intende definitivamente risolto.

Ed esiste anche la mobilità obbligatoria che consente alle amministrazioni di spostare territorialmente i dipendenti. Oltretutto la manovra di agosto ne ha persino inasprito i termini consentendo i trasferimenti all’interno delle stessa regione senza minimi di chilometraggio, e persino tra regioni differenti. Il Governo in questo caso si è impegnato a facilitare l’applicazione di queste norme attraverso sanzioni, e all’introduzione di un ulteriore norma che porterà al “superamento della dotazione organica”, renderà cioè più facile dire che Tizio in quel dato uffici non serve. Ma il Governo in questo caso non ha specificato i tempi, e quindi tasso di fattibilità alto: 50%.

“Se la delega fiscale non fosse esercitata entro il 30 settembre 2012 o le disposizioni non fossero in grado di garantire un sufficiente effetto si avrà una riduzione automatica delle agevolazioni”. Promesse impegnativa e costosa, 20 miliardi nel biennio 2012/13, e 20 miliardi l’anno dal 2014 promessi in nemmeno una pagina. Legge delega entro il 31 gennaio 2012 e, se entro il 30 settembre non ci saranno i provvedimenti, scatterà la clausola di salvaguardia (ma a favore del Fisco). Taglio del 5% di tutte le agevolazioni nel 2012 e del 20% nel 2013. O aumento delle aliquote Iva. Impresa ardua perché bisogna ridurre la spesa assistenziale e allo stesso tempo rivedere il Fisco, riducendo la pressione tributaria. Si dovrà metter mano su pensioni (reversibilità, invalidità), assistenza (indennità accompagnamento, assegni familiari). Facile quindi che la clausola di salvaguardia scatti. Ergo più tasse perché minori saranno le detrazioni. Fattibilità al 35%.

“Definire per l’anno scolastico 2012/13 (cioè il prossimo) un programma di ristrutturazione per le scuole con risultati insoddisfacenti; si valorizzerà il ruolo dei docenti; nuovo sistema di selezione”. Questa, insieme alla “disponibilità” dei dipendenti pubblici, è la promessa con più chance di vedere la luce: il 50%. La manovra di luglio aveva già dato una sforbiciata, con l’obbligo di accorpare le scuole più piccole. Ma adesso il governo si impegna a “ristrutturare”, cioè riorganizzare ed eventualmente eliminare, quelle che funzionano peggio. La questione è come decidere se una scuola funziona bene o male. La lettera dice che ci si baserà sulle prove Invalsi, ma nella decisione potrebbero pesare anche altri fattori, come i servizi offerti dai singoli istituti, la percentuale di promossi, i tempi di ingresso degli ex studenti nel mondo del lavoro. Lo strumento tecnico c’è, quello che preoccupa sono i tempi. Già accorpando le scuole piccole ne sarebbero cancellate più di mille, una su dieci.

“Entro il 30 novembre il Governo definirà un piano di dismissioni e valorizzazioni del patrimonio pubblico che prevede almeno 5 miliardi di proventi all’anno nel prossimo trienno”. E siamo al capitolo privatizzazioni, circa 15 miliardi promessi in sette righe. In questo caso il Governo la fa, probabilmente, un po’ troppo facile. Fattibilità al 30%. Le privatizzazioni questa volta dovrebbero correre su due piani: le società che fanno capo al ministero del Tesoro (quote Eni, Enel, Finmeccanica), e la miriade di gruppi controllati dagli enti locali.

Terreno, quest’ultimo, che definire paludoso e riduttivo. Basti pensare solo alle municipalizzate, dall’energia (vedi A2A per Milano o Acea per Roma) che fanno capo ai Comuni. Il tutto in meno di 2 mesi. Complicato soprattutto farlo con gli enti locali, che in passato hanno deciso di cedere alcune quote nelle controllate solo perché avrebbero beneficiato di un bonus fiscale. E si contano almeno due o tre tentativi legislativi di arrivare alle privatizzazioni locali, tutti senza successo. C’è poi il capitolo delle privatizzazioni del patrimonio immobiliare, stimato in 5-600 miliardi. Strada già tentata in passato, ma con scarsi risultati.

Media matematica della fattibilità delle promesse del nostro Governo 38%, poco più di una possibilità su tre.

Percentuale destinata ad abbassarsi o a salire, vai a sapere, se il governo uscisse da una sbrigativa vaghezza. I licenziamenti possibili per motivi economici per i nuovi assunti o anche per chi già lavora? Nel primo caso, in cambio di un contratto non precario, aiuterebbero l’assunzione di giovani, donne e cittadini delle Regioni del Sud che non lavorano, lavorano a nero o al massimo “a grigio” in percentuali intollerabili. Nel secondo caso si tratta invece di una classica ricetta di destra economica e politica che poco si cura di un nuovo più efficiente e giusto welfare. Licenziamenti con susseguente cassa integrazione come ha spiegato 24 ore dopo Berlusconi? Ma allora si resta più o meno alla situazione attuale dove, anche se pochi lo sanno, la cassa integrazione non è un diritto per tutti ma viene di volta in volta concessa per decisione politico-sindacale. Fine della “pianta organica” per gli statali come via libera a “tagli lineari” nei posti per dipendenti pubblici o fine della “pianta organica” come redistribuzione del personale in relazione alle necessità e alla produttività della Pubblica Amministrazione? Saperlo…

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