ROMA – Clexane, Nexium, Avodart, Arimidex, Foradil, Karvezide e Mirapexin. Sono i nomi di alcuni dei farmaci che latitano nelle farmacie italiane. Medicinali che scompaiono dai banchi delle nostre farmacie perché vengono venduti all’estero a prezzi maggiorati. Con ricco guadagno, ovviamente, per i grossisti e i farmacisti che il commercio organizzano. Commercio legale va detto, ma di discutibile etica professionale e umana.
Il Clexane 4000 è un fluidificante del sangue usato nelle profilassi della trombosi e nell’emodialisi. In Italia costa 32 euro, all’estero lo si vende anche a 52. Il Nexium, un protettivo gastrico, passa dai circa 9 euro italiani ai 14. L’Avodart, usato per il trattamento dei sintomi dell’iperplasia prostatica, costa 30 euro qui e 47 all’estero. L’Arimidex, prescritto per il carcinoma al seno, da 46 a 74 euro. Il Foradil, un broncodilatatore, passa invece dai 52 euro italiani agli 83. E poi il Karvezide, usato per l’ipertensione, 10 euro in Italia e 16 altrove. Il Mirapexin, infine, è quello che garantisce i guadagni più cospicui: 90 euro in Italia e 275 in Europa. Le destinazioni finali sono per lo più Germania e Regno Unito dove i prezzi sono del 20-60% più alti dei nostri o sono consentite agevolazioni Iva.
Sono questi i principali farmaci, e i loro relativi prezzi, che a singhiozzo scompaiono dal mercato italiano. Colpa dell’esportazione parallela, pratica assolutamente legale che consente a grossisti e farmacisti autorizzati di vendere i suddetti prodotti al di fuori dei confini nazionali. Il grossista o il farmacista autorizzato alla distribuzione quindi, anziché rispondere agli ordinativi del mercato italiano, preferisce vendere una parte della scorta all’estero dove i costi sono anche tre volte superiori. Così l’intermediario ha notevoli margini di guadagno. Il caso più eclatante è il Mirapexin, per il Parkinson, 89,19 euro da noi e 275,10 in Germania. Ma se la pratica è legale, non vuol dire che sia corretta, almeno dal punto di vista umano prima ancora che professionale.
In Grecia, ad esempio, dove si è riscontrato il medesimo problema, lo Stato ha bloccato per 6 mesi l’esportazione parallela. Cosa che, ovviamente, ha fatto ricomparire sui banconi delle farmacie i medicinali che latitavano.
In Italia, già sei mesi fa, Federfarma Roma, l’associazione dei titolari di farmacia, ha presentato un esposto alla Procura chiedendo che venissero verificati i meccanismi del parallel export. Da allora non se ne è più saputo nulla e nel frattempo la situazione è peggiorata. I 150 prodotti cosiddetti contingentati, che verrebbero rilasciati sul mercato nazionale dalle aziende con un ridotto numero di pezzi proprio per sottrarli a questo sistema, in certi periodi dell’anno e in determinate aree geografiche diventano introvabili con un andamento a macchia di leopardo. L’emergenza attualmente riguarda Roma in particolare.
Massimo Scaccabarozzi, presidente delle aziende farmaceutiche riunite in Farmindustria, denuncia la scorrettezza di chi favorisce questa emergenza: “Noi non abbiamo nessun interesse, gli unici ad avvantaggiarsi sono i distributori italiani. Non è vero che contingentiamo la produzione. Il numero di pezzi dipende da una pianificazione ad inizio anno, necessaria nel settore del biotecnologico, che se le cose funzionassero normalmente sarebbe appropriata. Poi non si dica che in Italia i prezzi sono alti”.