MILANO – Montecarlo, Isole Cayman o Santa Lucia, tutti paradisi fiscali dove, con un po’ d’accortezza, si possono registrare società e beni evitando di pagare le tasse. Ma per diventare invisibili al fisco, o almeno per provarci, non c’è bisogno di viaggi intercontinentali, non sempre si deve raggiungere una meta esotica. Per gli aspiranti evasori c’è un nuovo paradiso fiscale, molto più a portata di mano e molto meno esotico: il centro di Milano. Niente sole e niente mare, ma la stessa facilità di nascondersi al fisco. Il sospetto era venuto all’Agenzia dell’Entrate visto il gran numero, assolutamente sproporzionato, di aziende registrate ad un passo dal Duomo, ed è stato poi avallato da un rapporto della Fillea-Cgil che ha stimato il record di evasione nei cantieri edilizi lombardi nella cifra record di 1.4 miliardi di euro, ed ora, a riportarlo all’attenzione del grande pubblico, ci ha pensato un’inchiesta de La Stampa. Tremonti aveva proposto di fare di Milano una “no tax area”, l’idea è piaciuta e, visto che il Governo non si decide, la no tax area è fai da te.
Ma come fa Milano, una città con un regime fiscale identico a quello in vigore in qualsiasi altra parte d’Italia, a trasformarsi in un paradiso fiscale? Semplice: se tutte le aziende si concentrano lì, le probabilità di ricevere i controlli del fisco si riducono. Gli ispettori dell’Agenzia delle Entrate, che fisicamente effettuano i controlli, non hanno il dono dell’ubiquità e se le aziende si moltiplicano a migliaia, loro sempre alcune centinaia rimangono. E così, come le sardine si riuniscono in grandi branchi per evitare di essere predate, così le aziende si riuniscono per evitare di essere controllate. L’idea è semplice, al punto che è mutuata da una sardina ma, a quanto pare, efficace.
Quasi 33mila aziende con domicilio fiscale nel miglio quadrato del centro storico di Milano. Di queste 28mila sono società di capitali. In via Monti, ad esempio, sono presenti oltre 830 domicili, in via Boccaccio 560, in Corso Venezia 500. In piazza Velasca 5 hanno sede una trentina di Spa e quasi 400 Srl. In via Durini 14 una ventina di Spa e 160 Srl. In via Borgogna 5 oltre 30 Spa e 140 Srl. In via Camperio 9 una ventina di Spa e più di 120 Srl. E via elencando. Non serve poi acquistare o affittare una sede sociale. Il raggruppamento in branchi è reso ancor più semplice dalla possibilità di domiciliarsi presso commercialisti e notai che offrono questo servizio. E proprio questa densità “svizzera” aveva insospettito l’Agenzia dell’Entrate dando il via ad un’intensificazione dei controlli.
Così nel 2010 e nei primi mesi del 2011 sono scattati 360 controlli su aziende e società immobiliari. Su altre 280 la direzione provinciale I di Milano dell’Agenzia delle Entrate sta facendo accertamenti. In una ventina di casi è stato imposto lo spostamento coattivo di domicilio per mancanza di requisiti, cioè lo svolgimento di una qualche attività decisionale e amministrativa dell’azienda. Mentre per altre 50 imprese potrebbe scattare a breve. Ma se fino al 2005/06 gli ispettori con giurisdizione sul centro di Milano non facevano più di 50 visite approfondite l’anno, che oggi sono salite a circa 200, il numero di quelli che in forza del branco sfuggirà ai controlli è ancora elevatissimo. Trentatremila aziende diviso duecento controlli vuol dire che c’è una possibilità su 165 di ricevere la visita del fisco. Percentuale bassina.
Una ventina di giorni fa poi la Fillea-Cgil ha presentato il terzo rapporto sull’edilizia in Lombardia dove il dato che salta agli occhi è il miliardo e mezzo di evasione realizzato dai cantieri della zona. Dato che fa dire al sindacato che Milano è “un paradiso fiscale migliore delle Cayman”. In città sono registrate 288mila aziende, numero di fronte a cui i 2000 ispettori dell’Agenzia dell’Entrate poco o nulla possono. Dovrebbero controllare una media di 120 imprese l’anno a testa, una ogni tre giorni, festivi inclusi.
