TORINO – Sul monumento ai caduti di piazza d’Armi a Susa sventola la bandiera “No Tav” al posto del tricolore. Pudicamente alcune ore dopo i No-Tav faranno sapere: “al fianco e non al posto”, sarà… Ad issarla la bandiera No-Tav, sotto gli occhi dei carabinieri, i ragazzi dei centri sociali, il popolo dei No Tav che da giorni è in lotta, anzi in guerra, contro chi vuole l’alta velocità. La protesta ha vissuto momenti più drammatici rispetto a questo cambio di bandiera: scontri, feriti, sassaiole, lacrimogeni, posti di blocco… E la “novità” di due camion incendiati, camion dell’azienda Italcoge, colpevole di lavorare al cantiere: centomila euro di danno e soprattutto “avviso” a lasciar perdere. Una nuova forma di lotta, non tanto nuova, anzi antica e sperimentata. Forma di lotta “importata” dal Sud, in uso nei cantieri del Sud: si fa capire all’azienda che qualcuno che può non vuole e che è meglio adeguarsi. Si chiama intimidazione e qualcuno potrebbe aggiungere “di stampo mafioso”. Ma guai a farlo notare ai No-Tav, si offenderebbero a morte: la loro battaglia ha per loro un “fine” talmente superiore che giustifica ampiamente ogni “mezzo”. Ma la bandiera… è un simbolo e, come tale, porta con sè un valore che va ben oltre quello del pezzo di stoffa. Una bandiera ai caduti in guerra nessuno ha avuto finora lo stomaco di ammainarla, finora… A Londra lo sanno bene e, soprattutto, lo sa molto bene Charles Gilmour, figlio adottivo di Polly Samson e di David Gilmour, chitarrista dei Pink Floyd, condannato per lo stesso gesto a 16 mesi di reclusione.
Era dicembre dello scorso anno quando in Inghilterra scoppiò la protesta contro l’aumento delle rette universitarie passate da circa tremila euro a novemila l’anno. In piazza, in quei giorni, c’era il figlio di David Gilmour. Sotto l’effetto dell’Lsd dirà il suo avvocato per giustificarlo. Ma, droga o non droga, il giovane Gilmour fu tra i protagonisti più attivi della protesta. E non solo cantando slogan o manifestando. Fu lui a tirare un bidone della spazzatura verso l’auto dove viaggiava il principe Carlo, fu lui a rompere alcune vetrine di Oxford Street e fui lui a arrampicarsi sul monumento al milite ignoto a Whitehall, vicino a Westminster, e a dondolarsi appeso all’Union Jack. Una bravata, a confronto alle vetrine in frantumi o alla semi aggressione al principe, ma non di questa opinione è stato il giudice. Sedici mesi di reclusione la condanna, di cui almeno otto da trascorrere in carcere. «Lei, a differenza di molte persone che vedo arrivare qui, ha avuto il vantaggio di un’intelligenza acuta e di ottimi studi. Conosce il lusso e il benessere. Mi rifiuto di pensare che non sapesse che cosa faceva. E strappando la bandiera ha insultato la memoria di uomini morti per garantire anche a lei il diritto di protestare». Così ha motivato la sentenza il giudice che ha condannato il giovane Gilmour.
A pochi mesi di distanza, in Italia, si è ripetuta più o meno la medesima scena. Terminato il presidio davanti ai cancelli dell’Italcoge, i manifestanti No Tav si sono spostati nel mercato di Susa per organizzare un sit in e hanno issato la bandiera “No Tav” sul monumento dedicato agli Alpini, togliendo, coprendo il tricolore. Si tratta esattamente della statua dedicata ai Caduti del Mare, che si trova in piazza d’Armi. Un monumento del tutto simile a quello preso di mira da Gilmour a Londra.
I manifestanti nostrani certamente non avranno avuto la medesima fortuna in fatto di lusso rispetto al figlio del chitarrista dei Pink Floyd, ma molti di loro saranno certamente istruiti e alcuni anche dotati di un’intelligenza acuta. Il rispetto dei caduti, oltre che della bandiera, morti come ha sottolineato il giudice inglese anche per garantire a chi oggi protesta il diritto di farlo in Inghilterra è stato valutato molto severamente. Da noi, probabilmente, così non sarà. E i No Tav diranno che il giudice inglese è un fascista e che la loro è una forma di protesta pacifica. Di certo rimuovere una bandiera è meno violento che tirar sassi agli operai, non ci piove. Ma le società, le comunità umane, vivono anche di simboli e, attaccare quei simboli è a volte più violento di qualsiasi altra cosa. Almeno a Londra. Qui da noi, invece, persino i ministri, com’ebbe a dire Bossi, col “tricolore si puliscono il culo”.
Nelle stesse ore un’altra bandiera è stata ammainata, ma in fondo è la stessa: quella del rispetto per i morti, e anche per i vivi. Mario Borghezio, euro deputato della Lega, ha detto: “Il cento per cento delle idee di Breivik sono buone, in qualche caso ottime, le sue posizioni collimano con quelle dei movimenti che in Europa oramai ovunque vincono le elezioni…vuol dire che sono idee di cento milioni di europei”. Borghezio ha spiegato che, al netto della violenza omicida, al netto del particolare dei morti ammazzati, il massacratore della Norvegia non ha tutti i torti, anzi ha ragione. E ha spiegato ancora che “la strage serve a qualcosa”, niente meno che a mettere in cattiva luce quelle ottime idee. Peccato che al netto dei morti ammazzati quelle idee non esistano, peccato che quelle idee inscindibilmente contengano i morti ammazzati. Anche a Borghezio non accadrà nulla, al netto della sconfessione di Calderoli e di tante sacrosante ma innocue condanne verbali. I No-Tav a Susa e Borghezio al microfono di una radio: ammainata a quattro mani la bandiera Italia, non tanto il tricolore quanto la bandiera della decenza, umana prima ancora che politica.