ROMA – “E io pago…”. Tredicimila euro circa li percepivano come stipendio, pagati dalle compagnie aeree rigorosamente estere che li avevano assunti, ma evidentemente non bastavano. Così i 36 piloti denunciati dalla Guardia di Finanza e poi indagati dalla Procura di Roma, avevano deciso di non rinunciare all’assegno di cassa integrazione che ricevevano in Italia. Assegno “pesante” anche in questo caso visto che oscillava tra i 3mila e gli 11mila euro. Euro pagati però in questo caso non dalle compagnie aeree italiane o estere, ma dagli italiani direttamente. Pagati attraverso le tasse che comunemente finanziano le diverse forme di ammortizzatori sociali, ma anche attraverso i circa 3 euro che ogni volta che si compra un biglietto aereo si devono sborsare per aiutare i lavoratori del settore in difficoltà.
La storia dei 36 piloti “furbetti” è diventata appena uscita subito nota, ed è forse la truffa ai danni degli italiani cui meglio si può applicare la battuta coniata dal principe della risata. Ma oltre ai particolari diffusi sin dai primi momenti, ci sono elementi che meritano di essere approfonditi. A partire dai suddetti 3 euro a biglietto, per arrivare al numero dei furbi in questione: 36 sono stati denunciati e poi indagati, ma come segnalano gli inquirenti, l’inchiesta riguarda un migliaio di persone.
Facendo un passo indietro, la vicenda è quella dei piloti mandati a casa da Alitalia, Meridiana e Wind Jet e che per questo avevano diritto alla cassa integrazione e ad altri ammortizzatori sociali. Piloti che però erano in realtà, e all’estero, affermati professionisti che continuavano regolarmente a volare ai comandi di aerei di compagnie straniere e ricevendo uno stipendio tra i 13mila e i 15mila euro, che si andava così a sommare all’indennità per la disoccupazione. I 36 denunciati, quando il settore aereo è andato in crisi e le compagnie del nostro paese hanno cominciato a tagliare, sono stati messi in cassa integrazione beneficiando, va sottolineato, di condizioni che la stragrande maggioranza dei lavoratori si possono solo sognare: le loro indennità – pari all’80% della retribuzione riferita agli ultimi 12 mesi di lavoro – sommavano infatti i contributi della mobilità e del ‘fondo volo’, istituito nel 2008 a seguito della prima crisi dell’Alitalia. Totale, una somma variabile tra i 3mila e gli 11mila euro al mese, per 7 anni.
Fin qui, nulla d’illegale. Come nulla d’illegale c’era nella ricerca da parte dei piloti in questione di un nuovo lavoro, magari anche all’estero. L’illegalità però arriva quando, trovato fortuna loro un nuovo impiego, i piloti in questione hanno ‘dimenticato’ di avvertire l’Inps di non essere più in possesso dei requisiti per avere l’assegno che da disoccupati gli spettava. Una dimenticanza diventata almeno in qualche caso non solo dolo ma anche colpa, più precisamente in quei casi in cui i piloti certificavano il falso sostenendo di non avere altra occupazione per continuare ad incassare.
Ma se 36 piloti ‘furbi’, per quanto in grado di far indignare, per non dire inca….., possono sembrare la classica goccia nell’oceano, non deve il numero distogliere da un altro dato: e cioè che sono circa un migliaio i colleghi dei furbi volanti sotto osservazione. Continuando quindi il paragone idrico, non di goccia dell’acqua ma di punta dell’iceberg potrebbe trattarsi, e la truffa potrebbe così elevarsi quindi a fenomeno o quasi del settore. L’inchiesta è tutt’altro che chiusa: i piloti sono stati denunciati alla Corte dei Conti e diverse procure hanno aperto dei fascicoli ipotizzando il reato di indebita percezione dei contributi, ma le verifiche della Finanza stanno proseguendo su almeno un migliaio di persone: non solo piloti in cassa integrazione, ma anche assistenti di volo e personale di terra.