Il pozzo nero della politica locale. Pirellone: 4 incriminati su 5

Il "Pirellone", grattacielo sede della Regione Lombardia (Lapresse)

MILANO – Se non è record poco ci manca. Su 5 membri della presidenza del consiglio regionale lombardo, 4 hanno guai con la legge. Ultimo in ordine di tempo il leghista Davide Boni, che avrebbe incassato mazzette  per il partito. Prima di lui il Pd Filippo Penati, dimessosi da vicepresidente dopo essere stato indagato per tangenti, e prima ancora i due pidiellini Massimo Ponzoni e Franco Cristiani. Il primo accusato di bancarotta e il secondo nei guai ancora per una storia di tangenti. Naturale domandarsi chi sia la mosca bianca, quel quinto membro, l’unico a non aver guai con la legge. Il suo nome è Carlo Spreafico, Pd. “Prima tecnico progettista in un’azienda elettromeccanica, poi a tempo pieno tra i metalmeccanici del sindacato Cisl, nel quale ha militato e lavorato per 35 anni, assumendo diversi incarichi. Ha lasciato l’incarico di segretario generale provinciale di Lecco per candidarsi alle elezioni regionali del 2005”, si legge nella sua biografia presente nel sito del consiglio della regione Lombardia. Stesso sito dove, in home page, compare la foto di un sorridentissimo Davide Boni e, tra le news, nemmeno un accenno alla storia di tangenti che ha appena travolto il presidente.

Se è vero poi che “il pesce puzza dalla testa” il cattivo odore non scompare scendendo di grado. Tra arrestati, imputati, indagati o solo sfiorati dalle inchieste della magistratura, con il leghista Boni si arriva a quota diciassette consiglieri regionali “inguaiati” con la legge. Un po’ più del venti per cento, con il centrodestra a far la parte del leone ma con il centrosinistra che non può certo dirsi immacolato. Salvi solo e soltanto i rappresentanti di Udc, Idv e Sel, i cosiddetti partiti minori. Tanto che al consigliere Giulio Cavalli di Sel, sotto scorta per minacce dalla ’ndrangheta, è scappata una battuta dal sapor di considerazione: “Se Palazzo Lombardia fosse un condominio non ci andrei ad abitare. Troppe brutte facce”. Certo il 20% di consiglieri alle prese con guai giudiziari non è un record e nemmeno lontanamente si avvicina all’80% che si registra alla presidenza, ma è pur sempre un risultato di tutto rispetto.

Scrive La Stampa:

A fare l’elenco in ordine volutamente sparso si salva nessuno. Nicole Minetti del Pdl è nei guai per le prostitute che portava a vagonate per le feste a casa di Silvio Berlusconi ad Arcore; ai bunga bunga ci andava pure il suo compagno di banco a Palazzo Lombardia Giorgio Puricelli, gradito ospite anche se per questo non è indagato; Gianluca Rinaldin anche lui del Pdl è sotto indagine a Como per tangenti; Massimo Ponzoni del Pdl ha fatto conoscenza dei magistrati di Monza per corruzione e bancarotta; sempre a Monza è nei guai Filippo Penati, l’altro vicepresidente di palazzo Lombardia del Pd come Franco Nicoli Cristiani, il pidiellino finito in manette a Brescia e Milano.

In alcune intercettazioni per varie inchieste di ’ndrangheta in Lombardia spuntano poi Stefano Maullu, Massimo Buscemi, Angelo Giammario, Alessandro Colucci, Domenico Zambetti, Angelo Ciocca, tutti del Pdl meno l’ultimo che è della Lega, nessuno indagato ma le relazioni sono assai pericolose. A guardare in casa leghista c’è da sbizzarrirsi. Davide Boni è solo l’ultimo, ma quello più pesante per nome, ruolo e vicenda. Altro che Daniele Belotti sotto inchiesta a Bergamo per le violenze degli ultras dell’Atalanta o Monica Rizzi, l’assessore allo Sport, guai giudiziari a Brescia per i dossieraggi a favore di Renzo “il Trota” Bossi, immacolato ma insomma.

Senza voler fare del qualunquismo sostenendo che tutti sono uguali e tutti rubano alla stessa maniera, sarebbe forse il caso di riflettere sulle cause di una così diffusa corruzione e corruttibilità tra gli amministratori locali. La Lombardia è vero rappresenta l’esempio negativo, ma chi è senza peccato scagli la prima pietra. Poche sono le amministrazioni locali che si possono dire immuni da questi fenomeni. Ma perché? Debolezza umana o vero e proprio malcostume congenito nella classe politica. Forse nessuno dei due anche se è vero che l’occasione fa l’uomo ladro e di occasioni, gli amministratori locali, ne hanno fin troppe. Senza nemmeno la seccatura di un’opinione pubblica che gli sta col fiato sul collo. Troppo denaro e troppo potere in mano a questa categoria politica di amministratori.

Inorridirà la Lega a sentir questo, da sempre sostenitrice dell’ognuno si amministra i soldi suoi e più potere agli enti locali. Inorridirà ma anche i suoi uomini sono caduti negli stessi errori. Roma ladrona deve aver insegnato bene alle camicie verdi, nate anche grazie ad una voglia di legalità. Erano una ventina d’anni fa e sembra preistoria, ma la Lega nacque e si rafforzò molto in relazione a Mani Pulite e allo sfascio e alla rottamazione della vecchia classe dirigente, incapace e corrotta.

Per Antonio Di Pietro, che di quell’inchiesta fu pm, si tratta di una “vicenda gravissima, da Mani pulite a oggi è cambiato niente”. Ma non è vero: all’epoca almeno i soldi delle mazzette si incassavano nell’ufficio privato, oggi, stando alle carte dei magistrati, comodamente al Pirellone. Ma la mazzetta, quando c’è, è l’ultimo anello di una lunga catena, una conseguenza quasi naturale della “materia” di cui la catena è fatta. Padroni e signori del meccanismo delle autorizzazioni, distributori di ultima istanza di licenze e sovvenzioni, i governi e la politica locale intermediano centinaia di miliardi e presiedono di fatto a migliaia e migliaia di attività economiche. Come dicevano una volta i magistrati del Pool di Milano in questo “ambiente” legislativo ed economico, la corruzione è davvero “ambientale”. Il problema non è tanto i tanti, i troppi che vengono presi con le classiche mani nella marmellata, il problema è sguarnire la dispensa che contiene i troppi, se non tutti i vasi della marmellata. O almeno togliere alla politica locale l’esclusiva delle chiavi della dispensa.

“Prendere la bestia per fame” diceva Ronald Reagan a proposito dello Stato. Sullo Stato Reagan si sbagliava o almeno esagerava, senza lo Stato centrale e i suoi soldi, come ha provato Bush che di Reagan è stato discepolo, la finanza americana avrebbe trascinato tutto il paese nella bancarotta. Però una “bestia” serve a va nutrita, venti e passa “bestie” in un paese solo nessuno può farcela ad alimentarle senza essere divorato. Ora i governi locali piangono e proclamano poco meno che insurrezione perché il governo centrale toglie loro non i soldi ma la “tesoreria”. Cioè mette sul conto corrente di tutta la nazione il “gettito di cassa non reimpiegato” dai governi locali. Metterli sul conto corrente della nazione e non per sempre ma solo fino al 2014 significa per l’Italia dover emettere meno titoli di debito e risparmiare di interessi da pagare circa mezzo miliardo in due anni. I governi locali, di destra e di sinistra, gridano allo scippo. Forse, o forse è solo la sanissima intenzione di non gettare anche quel mezzo miliardo nel pozzo nero dei governi e della politica locali.

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