Calabria: processione di Stato per far scendere la Madonna, Gesù e San Giovanni dalle spalle della ‘ndrangheta

VIBO VALENTIA – Maria Addolorata, Cristo risorto e San Giovanni portati sulle spalle da padrini, picciotti e uomini d’onore durante la processione pasquale. Questa è la tradizione a Sant’Onofrio, paesino di tremila abitanti a ridosso di Vibo Valentia. Una tradizione che però non è più accettatava da tutti, accettata in antico silenzio che è di fatto consenso. Una tradizione e una consuetudine che vanno spezzate. Lo vuole il parroco, lo vorrebbe il vescovo e lo vuole la gente “per bene” di Sant’Onofrio. Ma la ‘ndrangheta, e in particolare la cosca locale, non ci stanno. E allora, per portare in processione tre statue nelle viuzze del paese, deve intervenire lo Stato e così, nel paesino calabro, nasce una nuova forma di liturgia: la processione di Stato.

Il legame tra criminalità organizzata e religione è un legame distorto ma forte. La cerimonia di iniziazione dei picciotti è intrisa di religiosità: il nuovo adepto giura con la figurina di San Michele Arcangelo che va a fuoco tra le sue mani. E portare le statue dei santi in processione a Pasqua è importante e visibile manifestazione di forza e potere, di controllo e di sfida, a Sant’Onofrio come in moltissime altre realtà piccole e meno piccole, da parte dei boss. Storicamente la Chiesa vede e sa, ma fa finta di non vedere e non sapere, vuoi per più o meno tacita connivenza, vuoi per impossibilità a fare altrimenti. Ma a sant’Onofrio, in questo circolo vizioso, qualcosa si è rotto. Non per volontà di farsi da parte degli uomini d’onore, ma per buona volontà di un parroco e della cosiddetta società civile.

La liturgia malavitosa della processione si declina in tutti i paesi calabresi e non solo. Prima che fosse vietato, la statue venivano assegnate con un’asta, in cui nessuno guarda caso osava rilanciare alle generose offerte delle ’ndrine. E così le statue sfilavano sempre sulle spalle dei picciotti. Il boss locale li precedeva camminando all’indietro con il volto rivolto al santo. Qualche anno fa, in una cittadina dell’Aspromonte, la processione ha persino cambiato percorso per transitare sotto la casa del capobastone agli arresti domiciliari.

Affrancare la Madonna dalla ‘ndrangheta non è però cosa facile, ci vorrebbe un miracolo sarebbe il caso di dire. E se il miracolo non lo fanno i santi ci vuole qualcun altro che ci provi. L’anno scorso il priore della Congregazione del Santissimo Rosario era stato minacciato a colpi di fucile per aver escluso i picciotti dalla processione della Madonna dell’Affruntata e, se possibile, quest’anno va anche peggio. Il vescovo ordina «fuori le ‘ndrine dalla processione» e l’intimidazione colpisce la squadra di calcio del paese, scelta dalla Chiesa per portare in spalla le statue nel giorno di Pasqua. Dirigenti atterriti e mamme dei calciatori in lacrime a implorare il passo indietro. La festa per l’ultima partita di campionato diventa un incubo: tutti a chiedere della processione, arriva persino la tv. Gli atleti (tra 20 e 30 anni: studenti, muratori, impiegati) uno dopo l’altro si sfilano dall’incarico: «Per favore, abbiamo paura, lasciateci stare». Naturalmente la disdetta deve avere il massimo risalto in paese, in modo da rassicurare gli interessati. «Loro», così vengono evocati. Vescovo silente e parroco disperato, rimasto solo nella scomoda parte di chi ha sfidato i boss. A dieci giorni da Pasqua, nessuno vuol rischiare la vita per una processione. «Siamo contro la ‘ndrangheta, ma abbiamo il diritto di non essere eroi», raccontano in paese. E allora, come racconta La Stampa, Dio è costretto a chiedere aiuto a Cesare.

Il prefetto Luisa Latella propone di far portare le statue a carabinieri e poliziotti. Non proprio la scorta per i santi ma poco ci manca. Sarebbe però un boomerang, la gente non gradirebbe. Allora convoca i dirigenti della squadra di pallone e i vertici della Chiesa. «La mafia non può vincere», spiega illustrando il suo piano per scongiurare un rinvio della processione, come l’anno scorso, che sarebbe un certificato d’impotenza. E così nasce la prima processione di Stato, organizzata in prefettura perché la Chiesa da sola non ce la fa. Si decide di convocare tutte le associazioni della zona, una decina, affinché ciascuna fornisca un portastatua. Così nessuno sarà solo contro la ‘ndrangheta. «Se ci stanno tutti, ci stiamo anche noi», dicono i recalcitranti. L’unione fa la forza, la ricetta non è nuovissima ma di provata efficacia. E così si trova la quadra, a una settimana dall’evento. Nel frattempo il paese è blindato, agenti ovunque e scorta per quelli che danno la disponibilità a portare le statue. Gesù è stato crocefisso tra due ladroni ma, nonostante ci sia il perdono per tutti, non dalle spalle dei boss vorrebbe essere sorretto.

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Alessandro Avico