Regioni, il partito unico della fattura: se non spendiamo che ci stiamo a fare?

Renata Polverini e Roberto Formigoni

ROMA – Una ha mollato mentre un altro resiste strenuamente. Sono Renata Polverini e Roberto Formigoni. Governatrice ormai ex, la prima, del Lazio, e governatore nonostante tutto, il secondo, della Lombardia. Ma Formigoni e la Polverini sono anche qualcosa di più che due “semplici” governatori, sono la punta dell’iceberg, la faccia mediatica, il volto e la personificazione di quegli scandali che dalle Regioni partendo rischiano di travolgere la politica tutta. Che siano colpevoli o meno, che siano imputabili di qualche reato o no poco conta.

Il punto, il problema e lo scandalo sono la gestione che le Regioni fanno dei soldi pubblici. Gestione che è sinonimo in questo caso di indigestione e spreco allo stesso tempo. Le Regioni divorano denari pubblici, li sperperano e spesso muovendosi perfettamente nella legalità. Divorano i nostri soldi non solo comprando costosi Suv, ma anche approvando delibere perfettamente legittime che lo spreco autorizzano. E se sia la Polverini che Formigoni sono espressione del centro destra, va detto che alla ricca tavola della spartizione hanno partecipato e partecipano anche quelle forze politiche almeno per il momento a margine degli scandali. Come ad esempio Pd ed Idv che nel Lazio, prima di forzare le dimissioni della governatrice, hanno visto, letto e in alcuni casi approvato, e comunque mai denunciato, le varie portate che i consiglieri della maggioranza si preparavano. Anzi, sia pur con maggior “educazione”, le opposizioni si sono sedute a tavola. Dando vita e corpo a quello che La Stampa definisce “il partito unico della spesa allegra”.

Alla Pisana, a monte delle cravatte e delle feste, dei Suv e dei ristoranti esiste ed esisteva un sistema di cui tutti o quasi hanno fatto parte, volenti o nolenti. Senza andare troppo lontano, negli anni della gestione Polverini, gli unici ad aver segnalato la disinvolta gestione dei fondi della Regione sono stati i Radicali. Nel silenzio delle opposizioni, Pd in testa. E questo punto è rivelatorio di come il problema sia più grave dei vari Franco Fiorito e simili e più grande del solo Lazio. Ladri, ladruncoli e ladri di polli esistono ovunque. Dovrebbe essere “il sistema” a scacciarli o comunque emarginarli mentre in questo caso, “il sistema”, non solo li incoraggiava, ma persino li foraggiava. Quello delle Regioni sembra infatti essere un vero e proprio sistema, un modus governandi che riguarda l’Italia tutta, da Nord a Sud isole comprese. Un sistema agevolato dalle riforme in senso federalista che hanno avuto come effetto quello di aumentare le “libertà” delle Regioni, cavalcato da piccoli ras locali e abitato da un sottobosco umano che dell’etica e del senso dello Stato mai ha sentito parlare.

Scrive La Stampa:

“Il sistema dell’autocertificazione e delle fatture volanti, emerso col sistema-Lazio, quanto è diffuso? Una cosa è certa: man mano che passano i giorni, diventa sempre più chiaro che nel Lazio esisteva una sorta di ‘partito unico della spesa allegra’. Certo, l’iniziativa di far lievitare fino all’inverosimile le spese ‘per il funzionamento dei gruppi’ nel 2010 è stata del Pdl, ma la ‘cupola’ che tutto decideva sui fondi era assisa nell’Ufficio di presidenza nel quale erano presenti esponenti di diversi partiti: l’Udc, la lista Polverini, il Pdl con il presidente dell’Ufficio e con Isabella Rauti (moglie di Gianni Alemanno), ma anche due partiti dell’opposizione, il Pd e l’Italia dei Valori. Certo, dei finanziamenti a pioggia hanno goduto tutti gli altri gruppi, gli unici a denunciare ripetutamente l’andazzo sono stati i Radicali, ma un ruolo di protagonisti lo hanno giocato i due partiti di opposizione presenti nell’Ufficio di presidenza: il Pd e l’Idv, che hanno dato il via libera a tutti gli auto-aumenti”.

La giunta laziale, sotto il peso dello scandalo, è crollata. Quella lombarda, nonostante gli avvisi di garanzia, resiste strenuamente. A Napoli, la Finanza, ha da poco bussato. Nubi si addensano sulla Liguria e le elezioni sono alle porte in Sicilia. Un quadro che, almeno secondo Marcello Sorgi, segna l’inizio della fine della Seconda Repubblica:

“E’ inutile girarci attorno o attardarsi troppo sui dettagli: quella a cui stiamo assistendo è la fine della Seconda Repubblica. L’unica differenza, rispetto alla caduta della Prima, vent’anni fa, è che stavolta le dimissioni non sono imposte dagli avvisi di garanzia delle Procure, ma da una sorta di tribunale dell’opinione pubblica, che non ha bisogno di aspettare indagini, processi e sentenze, per esprimere il proprio disgusto. (…) La lezione che si ricava da quanto è accaduto semplice. A sei mesi dalle elezioni politiche, se non vogliono che alla Camera e al Senato accada quello che negli ultimi anni è successo a Milano, Napoli, Parma e Palermo, dove la gente ha cercato qualsiasi rifugio pur di non votare i partiti tradizionali, i gruppi dirigenti hanno solo una possibilità: far pulizia. Subito, senza perdere altro tempo. (…) La sensazione è che tutta la rete delle Regioni sia a rischio. Già solo il dato della spesa pubblica, cresciuta a livello locale di ottanta miliardi di euro negli ultimi anni, è inaccettabile in una stagione di sacrifici in cui lo Stato aumenta le tasse e chiede ai cittadini di tirare la cinghia. La Prima Repubblica era stata inaffondabile per quasi mezzo secolo, ma si inabissò in due anni. La Seconda è durata meno della metà e sembra morire dello stesso male. In sei mesi, se è in grado di rinnovarsi veramente, può ancora provare a salvarsi. Oppure, come ha fatto in questi giorni, celebrare il suo funerale”.

In fondo, visti i risultati che ha conseguito, è probabile che non pochi si augurino che Sorgi abbia ragione nel presagire la fine della Seconda Repubblica. Consapevoli però che al peggio non c’è mai fine, quello è certamente da augurarsi è che se fine deve essere sia veloce, perché nulla è peggio di una classe dirigente che vede la sua fine approssimarsi.

 

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Emiliano Condò