ROMA – Dice il saggio(?) cinese: “In Italia è meglio non investire, ma se vuoi farlo abbi almeno qualche aggancio politico”. Questa è, ovviamente, una battuta, ma il Corriere della Sera di oggi (12 aprile) pubblica una lunga lettera di un economista cinese che dice in sostanza, in modo più argomentato, la stessa cosa. In Europa, e in Italia in particolare, è meglio non investire. In queste realtà si lavora poco e male, la società del vecchio continente è affetta dalla “sindrome del panda” ed è meglio investire altrove.
La lettera pubblicata dal Corriere è firmata da Andy Xie, economista indipendente. Ai più il nome dirà poco o nulla, ma Xie è un economista di alto livello: nato nel 1962 è stato l’uomo di punta di Morgan Stanley per la zona Asia-Pacifico, famoso per le sue idee anticonformiste e provocatorie. Alle spalle di Xie una carriere di studi e previsioni di prim’ordine: laureato al Massachusetts Institute of Technology con un MS in Ingegneria Civile, ha poi conseguito il PhD in Economics presso il Massachusetts Institute of Tecnologia nel 1990 ed è diventato un economista del Fondo monetario internazionale, specializzato nelle economie del sud-est asiatico. Nel 1997 è entrato in Morgan Stanley come amministratore delegato. Xie è uno dei pochi economisti che ha previsto con precisione le bolle economiche, tra cui la crisi finanziaria asiatica del 1997 e la crisi dei mutui subprime. Non l’ultimo arrivato quindi.
“La crisi del debito in Europa si protrarrà probabilmente per diversi anni a venire – scrive Xie al Corriere – Le possibili soluzioni richiedono un significativo ridimensionamento del tenore di vita per molti Paesi dell’Europa meridionale e radicali riforme del suo mercato del lavoro. Entrambi questi obiettivi hanno come presupposto il consenso e la collaborazione di cittadini, al momento assenti. L’aiuto esterno, attraverso salvataggi o investimenti, non farà che prolungare la crisi, dal momento che fornisce ai politici gli strumenti per mantenere lo status quo. La Cina non deve cadere in questa trappola, specialmente nel caso dell’Italia. La crisi del debito nella zona euro riguarda fondamentalmente l’Italia, non la Grecia. L’attuale premier, che pure sta facendo un buon lavoro, difficilmente riuscirà a cambiare la società italiana, poiché non è stato eletto. Gli investimenti esteri in Italia rischiano di essere una forma di beneficenza. I lavoratori locali metterebbero probabilmente sul lastrico gli ignari investitori stranieri”. Una disamina chiara e secca, così secca da farci storcere la bocca visto come siamo abituati noi italiani a girare intorno alle cose e mascherare il nome e la natura dei problemi.
“L’economia italiana è organizzata in modo tale da massimizzare i salari e minimizzare l’attività lavorativa. Gli investimenti funzionano solo nel caso degli enti locali con agganci politici (…) Inoltre, l’aiuto esterno serve solo a posticipare il giorno della resa dei conti. A prescindere dalle dichiarazioni del presidente del Consiglio Mario Monti, la Cina non dovrebbe investire in Italia”. Da noi non bisogna investire, e non bisogna farlo perché lavoriamo poco e anche malino. Cinico? Forse, ma come dargli torto?
Se non bastasse la teoria, spesso lontana dalla vita vera, Xie fa anche degli esempi pratici per spiegare perché in Italia è meglio non mettere soldi e perché lavoriamo poco e male: “partecipando a una conferenza in una città dell’Italia del Nord, le difficoltà dell’economia del Paese appaiono evidenti. È affascinante osservare come un dipendente di una società di traghetti riesca a rallentare sistematicamente la vendita di biglietti a una lunga fila di turisti in attesa che guardano sbigottiti le imbarcazioni semivuote che partono lasciandoli a terra. Nelle stazioni ferroviarie e nei treni ad alta velocità i lavoratori in esubero sono la normalità. I problemi del settore pubblico in Italia sono simili a quelli sperimentati dalla Cina con le aziende a proprietà statale negli anni Novanta, ma molto più gravi. In Italia il settore privato funziona meglio di quello pubblico, ma non più di tanto. Numerose attività appaiono soggette a restrizioni da parte del governo e dei sindacati”.
E ancora: “l’economia italiana è in stagnazione da circa dieci anni. E le leggi che vanno contro il mercato costituiscono un grave problema. Con una deregolamentazione tale da rendere possibile una rapida risposta all’offerta, l’economia italiana potrebbe conoscere una crescita vivace e pluriennale. L’economia potrebbe crescere del 20-30% rispetto alle sue dimensioni attuali. Il debito pubblico italiano oggi è pari al 120% del Pil. Un incremento dell’efficienza permetterebbe di ripagarlo interamente in meno di dieci anni. L’inefficienza autoinflitta è sicuramente il più importante fattore all’origine della crisi italiana”.
I problemi sono chiari, e Xie li spiega in meno di una paginetta. Ci sarebbe anche una via d’uscita, almeno secondo l’economista cinese, ma una via che noi non intraprenderemo, tendenzialmente perché incapaci.
Dulcis in fundo, la “sindrome del panda” di cui siamo vittime: “le politiche europee che limitano le ore di lavoro equiparano gli esseri umani a specie a rischio come i panda. A ben vedere, molti europei sembrano comportarsi come questi animali, dal momento che considerano i privilegi alla stregua di diritti. La sindrome del panda è la causa di fondo della crisi del debito in Europa”.
L’età dell’oro per noi è finita, ce lo dicono a chiare lettere anche i cinesi ormai. Noi, comprensibilmente, continuiamo a far finta di non capirlo.
