ROMA – I depositi bancari, insomma i soldi sul conto corrente, sono garantiti sino a 100mila euro. Oltre tale soglia, in caso di fallimento dell’istituto bancario, si perde quello che si aveva sul conto. Tra BoT e BtP meglio avere in tasca titoli a breve termine, più sicuri. E comunque non venderli mai prima della scadenza e del rimborso al cento per cento del valore. Queste, in sintesi, le “dritte” per i risparmiatori italiani.
La Grecia è più che a rischio default e l’Italia è l’osservata speciale del Fondo Monetario Internazionale, oltre che dell’Europa. Finanza in crisi, casse che traballano, Borse che crollano e tasse che aumentano. Ma i risparmiatori italiani, grandi o piccoli che siano, cosa rischiano concretamente?
Per quanto riguarda i conti correnti, nel caso estremo in cui la propria banca dovesse fallire, il denaro lì depositato è garantito dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. Garanzia che copre però sino al valore di 100mila euro, erano 103mila sino al 7 maggio scorso. Un analogo fondo tutela i depositi presso gli istituti di credito cooperativi. Tali Fondi garantiscono il rimborso entro 20 giorni lavorativi, prorogabili di altri 10 in casi eccezionali, per tutti i clienti degli istituti di credito italiani e delle loro succursali nei paesi Ue, nonché per i clienti delle succursali italiane delle banche comunitarie ed extra comunitarie consorziate. Quindi fino a 100mila euro non si rischia nulla, mentre diverso è il discorso per i depositi che superano tale soglia. Nel caso di un deposito di 120mila euro ad esempio, in caso di fallimento, i 20mila euro “extra” andrebbero persi.
In caso di conto corrente cointestato però la garanzia si moltiplica tante volte quante sono gli intestatari. Se due persone ad esempio, come nel caso di due coniugi, sono titolari di un conto corrente comune, la garanzia del fondo copre 100mila euro cadauno, quindi 200mila.
La garanzia “vale” per la liquidità presente sui conti correnti o deposito e, in definitiva, per tutti i “crediti relativi ai fondi acquisiti dalle banche con obbligo di restituzione, sotto forma di depositi o sotto altra forma, nonché gli assegni circolari o altri titoli di credito assimilabili”. Sono esclusi invece dalla copertura tutti gli altri strumenti finanziari: fondi e titoli al portatore, pagherò cambiari e operazioni in titoli, obbligazioni, titoli di capitale e simili. Anche se, in caso di difficoltà generali del sistema, il funzionamento di uno strumento come il Fondo è tutto da verificare.
Per quanto riguarda gli investimenti invece chi possiede BoT può stare relativamente sereno. Chi deve fare più attenzione sono i possessori di BtP, anche se quelli che rischiano grosso sono quelli che hanno in portafoglio titoli greci. I BoT sono titoli a breve termine e per questo le oscillazioni dei loro tassi sono piuttosto limitate. Per questo tipo di titoli l’unico rischio, per ora remoto, è che lo Stato Italiano fallisca diventando insolvente. Inoltre, in passato, in altri casi di default, la ristrutturazione del debito non ha toccato i titoli a breve termine ma solo quelli a medio lungo termine. E a medio lungo termine sono proprio i BtP che, oltre a scontare in questo momento pesanti oscillazioni negative del loro valore, in caso di default sarebbero certamente restituiti non in toto. In questo caso, almeno al momento, il pericolo per i risparmiatori è ancora l’oscillazione del valore.
Bestia nera, e non potrebbe essere altrimenti, sono invece i titoli di stato greci. L’accordo raggiunto la settimana scorsa a Bruxelles ha stabilito una ristrutturazione del debito ellenico tale da prevedere una decurtazione del valore delle obbligazioni in mano agli investitori privati del 50%. Sino ad ora però sono state indicate solo le linee guida e non è ancora chiaro come il “taglio” verrà applicato, e non è nemmeno detto che quella del 50% sarà la misura finale del taglio. L’unica cosa certa è che i titoli greci in questo momento è meglio non averli.
Dunque, ad averli, che farci con i soldi, con i risparmi? L’inflazione è sopra il tre per cento e investimenti “sicuri” con redditività superiore al tre per cento non ce n’è in giro per il mondo. Perfino i Bund tedeschi non garantiscono una cedola netta particolarmente superiore al tasso di inflazione. Si possono oggi comprare titoli di Stato spagnoli o portoghesi o italiani che pagano molto più del tre per cento, ma comprandoli si accetta il rischio di doverli rivendere in caso di necessità di liquidi prima della scadenza ad una quota inferiore al prezzo di acquisto, talvolta di cinque punti o più. Analogo il discorso per le obbligazioni bancarie. Quindi, ad averli, se si ha cento di risparmio, il consiglio, caldo consiglio è di restare “liquidi” per almeno un trenta per cento: conto corrente e peccato se paga pegno all’inflazione. Sono soldi senza remunerazione, ma anche senza vincoli e rischio di deprezzamento. Meglio, molto meglio avere liquido il trenta per cento del risparmio. E poi non più del 10/20 per cento in titoli di Stato, possibilmente metà italiani e metà tedeschi. E altrettanto, 10/20 per cento del totale in obbligazione bancarie. E un dieci per cento in bond industriali. Una spruzzata di risparmio, massimo il dieci per cento, in fondi azionari asiatici o americani. E buona fortuna. Ricordando la prima regola: investire la quota di risparmio di cui si pensa di non aver bisogno per spese immediate o di emergenza.