ROMA –Obama le abbassa, ma in realtà le alza, l’Europa le vuole ugiali, per tutti gli europei, Monti promette non la gallina ma l’uovo domani. Tasse, si fa presto a dire tasse. Tema caldo in ogni momento e in ogni contesto, ma tema che diviene ancor più centrale in tempi di crisi economica, quando cioè i soldi non ci sono, e alla vigilia delle elezioni, quando parlare di tasse diviene punto obbligatorio di ogni campagna elettorale. Barack Obama, negli Usa, lancia un piano per ridurre di 7 punti percentuali le tasse alle imprese, obbligandole però a pagare, cosa che oggi non fanno grazie alle mille scappatoie legali che caratterizzano il sistema fiscale a stelle e strisce.
Dall’altra parte dell’Atlantico, in Europa, si comincia a discutere seriamente della necessità di una fiscalità condivisa tra i paese dell’Unione. Conditio sine qua non per avere un’economia unica. E in Italia, dopo la manovra “salva Italia”, è arrivato il momento di ridare qualcosa agli italiani. Difficile se non impossibile che lo si faccia riducendo le aliquote Irpef, e allora si punta sulle detrazioni e le agevolazioni, realizzabili però solo attraverso il recupero dell’evasione e, soprattutto, dopo la spending review.
Il presidente Obama ha appena annunciato il suo piano per la riforma della fiscalità statunitense. Piano che, visto lo stallo al Congresso tra democratici e repubblicani e le elezioni presidenziali prossime venture, difficilmente vedrà la luce, almeno nella forma presentata dal presidente. Ma piano che traccia delle linee guida e che pone l’accento sulla necessità di metter mano ad una legislazione vecchia di una generazione. “Il nostro sistema di imposizione fiscale per le aziende è superato, ingiusto e inefficiente” ha detto Obama in una dichiarazione scritta che accompagna la spiegazione delle tre proposte centrali da parte del ministro del Tesoro Timothy Geithner: l’aliquota massima scende dal 35 al 28% e per le manifatture si abbassa al 25; le corporation che operano all’estero dovranno versare una minimum tax sui profitti; tutte le aziende dovranno rinunciare a facilitazioni e sussidi che finora le hanno agevolate consentendo, secondo uno studio del Congresso, al 55% di loro di non pagare nulla almeno una volta negli ultimi 7 anni.
Già, perché mentre Washington impone per legge una severa aliquota del 35% alle corporations, spesso più alta di quelle in uso in Europa, in realtà i “loopholes”, le scappatoie del sistema, permettono del tutto legalmente alla General Electric di pagare il 14,3%, alla Boeing di cavarsela col 4,5, a Yahoo di saldare il conto con un 7% e alla Carnival, quella della Costa Crociere, società con 11,3 miliardi di dollari di profitti (pari a 8,70 miliardi di euro) di cavarsela con un’aliquota da sogno per ciascuno di noi, l’1,1%.
Delle compagnie di Standard & Poor’s 39 pagano meno del 10%, 112 meno del 20%. C’è chi lavora sulle norme per i profitti ottenuti all’estero, chi sui macchinari acquisiti, i progetti, le ricerche. Le lobbies lavorano ai fianchi il Congresso per ottenere nuovi “loopholes” mentre gli uffici fiscali impiegano legioni di avvocati e commercialisti per ottenere aliquote ben al di sotto di quel 35% ufficiale ma quasi mai applicato. Il presidente Obama ha parlato di “sistema peggiore del mondo”, e la sua proposta punta su un deciso taglio, portando le tasse dal 35 al 28%, taglio accompagnato però da una robusta sfoltita della possibili scappatoie legali. Una sorta di “pagare meno, pagare tutti” in salsa americana.
Ma le tasse non occupano solo i pensieri degli americani e la politica fiscale è al centro del dibattito all’interno dell’Unione Europea, sia nel suo insieme sia all’interno dei singoli stati membri. A livello comunitario sembra esser diventato chiaro e imprescindibile il raggiungimento di un fisco “comunitario”. Regole certe cioè, e soprattutto uguali per tutti e in tutta l’Unione, in materia di imposizione fiscale. Un obiettivo per ora, che ancora non si sa come e quando realizzare, ma da cui non si può prescindere.
E di tasse si parla anche da noi, in Italia. Se ne è parlato a lungo quando si è trattato di evitare all’Italia la deriva greca, aumentandole. Ora che le cose sembrano andare meglio, o almeno nella direzione giusta, se ne continua a parlare, ma nel senso opposto: come ridurle. Abbassare le aliquote Irpef appare al momento quasi un’utopia o un pio desiderio, ma il Paese ha bisogno d’aiuto così come molte famiglie che stentano ad arrivare a fine mese. La via da seguire sembra quindi quella delle detrazioni. Detrazioni finanziabili solo però con il recupero dell’evasione e la spending review, cioè il taglio degli sprechi pubblici.