Giuseppe Turani ha pubblicato questo articolo anche su Uoini & Business col titolo: “La ripresa è finita”-
Siamo alle solite: l’Europa, la Bce, il Fondo monetario, i mercati chiedono all’Italia fatti e noi rispondiamo con montagne di parole. Adesso la banca di Francoforte, dopo gli avvisi dei giorni scorsi, scrive nero su bianco che molto probabilmente l’Italia non riuscirà a rispettare l’obiettivo del 2,6 per cento di deficit quest’anno.
In realtà, si tratta di un non-notizia. È vero che l’Italia ha preso quell’impegno, ma è anche vero che da tempo il Governo sarebbe lieto di riuscire a rimanere sotto la linea del 3 per cento di disavanzo (che è quanto consentito dalle norme comunitarie).
Ma anche questo obiettivo comincia a essere in dubbio. Per almeno due ragioni.
1. La congiuntura europea volge al peggio. Grandi nubi nere all’orizzonte. Di fatto, come dicono gli stessi economisti della Bce, la piccola ripresa europea (chi l’ha vista?) è finita. L’Italia stava già viaggiando, quest’anno, verso un risultato finale pari allo 0,2 per cento di decrescita, ma con l’ipotesi di un’economia europea un po’ in tiro.
Adesso lo scenario si è capovolto (fra Ucraina, Urss, e altri problemi). A questo punto un risultato che faccia segnare una recessione di “appena” lo 0,2 per ceto diventa desiderabile. Ma non è escluso che le cose vadano peggio. Da qui alla fine dell’anno ci sono ancora tre mesi e mezzo e può accadere qualsiasi cosa. Ma se invece di crescita c’è recessione il famoso rapporto Debito/Pil rischia di peggiorare sensibilmente.
Da qui l’invito della Bce a sorvegliare con grande attenzione i numeri italiani (lo spread è già tornato sopra quota 140),
2. I conti italiani. I ministeri invitati a tagliare si stanno difendendo con le unghie e con i denti. Nessuno vuole rinunciare a niente. Tutto è di vitale e strategica importanza. LeRegioni (che certo non hanno mai brillato per la loro parsimonia) sono praticamente in rivolta. E anche loro non vogliono mollare nemmeno un euro.
Praticamente siamo finiti in un vicolo cieco, dove però c’è qualche cornicione che rischia di caderci in testa.
Stiamo pagando (o rischiamo di pagare) una certa leggerezza del Governo, che è sempre stato convinto che bastasse tagliare un po’ e un po’ là per cavarsela. E quindi un piano concreto e chiaro sulle cose a cui dobbiamo rinunciare non è mai stato fatto. La pubblica amministrazione è sempre quella di prima, le dieci mila società pubbliche “locali” (di cui si sa da almeno tre anni che in gran parte sono uno scandalo) sono sempre lì e i loro amministratori girano in limousine, il Comune di Roma e la Regione Sicilia (due fabbriche di spese inutili) vanno avanti a spendere soldi con grandissima serenità. E si potrebbe andare avanti per tre pagine.
Ormai, forse, è tardi per chiudere qualcuna alcune di queste pipe-line da cui il denaro pubblico scorre verso il vuoto assoluto.
Bisogna cercare, almeno, che non finisca nel solito modo: qualche ticket in più, qualche aumento delle accise (benzina e sigarette, di solito), una stoccatina alle pensioni, meno benzina per i carabinieri, e via di questo passo.
Questa volta non può finire nel solito modo. Ma siamo già molto in ritardo.
Per la crescita, ripassare più avanti.