Le elezioni europee e il successivo semestre di presidenza italiana dell’Unione europea sono un passaggio molto delicato e, per certi versi, insidioso.
In primo luogo il neosegretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, si troverà a misurarsi in una campagna elettorale nella quale certamente prevarranno toni critici nei confronti dell’Europa e dell’euro, quando non apertamente ostili alle regole dell’Unione e della moneta unica, alle quali molta gente istintivamente ricollega le difficoltà del Paese, dell’economia e delle famiglie.
Un partito europeista e destinato di lì a due mesi a “governare” l’Unione sarà impegnato a chiedere il voto per “più Europa” a maggio per assumere con consapevolezza la leaderschip del Consiglio dei ministri dell’Unione due mesi dopo, con l’impegno di mantenere le promesse che non potranno che essere quelle di un ruolo di Bruxelles che sia capace di governare, insieme al rigore dei conti e alla saldezza dei bilanci, anche la crescita che ovunque in Europa, sia pure con diversa intensità, è un’esigenza dei popoli e delle imprese.
I temi europei ancora non emergono nel confronto tra i partiti e nelle iniziative del Governo e di Renzi impegnato nello stimolare il Presidente del Consiglio ad attuare politiche capaci di cogliere i deboli segnali positivi che segnalano alcune statistiche, per avviare una ripresa dell’economia che dia spazio ai consumi. Ciò che esige più risorse per le imprese e le famiglie, unica condizione perché il mercato interno riprenda e con esso la produzione e l’occupazione. Il percorso è ricco di ostacoli, considerata la scarsezza delle risorse e la naturale lentezza della ripresa, nella quale i vari fattori prima segnalati, maggiore denaro nelle tasche dei cittadini, più incentivi alla produzione e, quindi, all’occupazione, in parte si sovrappongono, in parte si condizionano. Ad esempio maggiori risorse per le famiglie si possono ottenere attraverso sgravi fiscali o maggiore occupazione. Ma ognuno comprende facilmente che l’effetto di misure anche immediatamente attuate ed efficaci non può intervenire prima di maggio e non è facile far intendere che si tratti di un beneficio che sconta politiche in una prospettiva europea.
Non resta, quindi, che convincere gli italiani che il Governo ha scelto la strada giusta, che ha cambiato passo, che i partiti hanno abbandonato le stanche litanie della prima repubblica, alla ricerca perenne della mediazione su tutto, anche sulle cose più banali. Un segnale immediato può essere costituito dalla semplificazione dei procedimenti, dalla riduzione degli adempimenti inutili o non necessari che costano ai cittadini ed alle imprese, in modo che gli uni e le altre vedano nello Stato e negli enti pubblici un amico, una risorsa, non un peso ed un costo.
Sarà possibile nel breve tempo che Letta e Renzi hanno a disposizione?
Non è certamente facile operare nei 100 giorni che mancano alla scadenza elettorale adottare misure concrete e percepibili. La classe governativa è in gran parte modesta, incapace di dialogare con quella amministrativa istintivamente restia alle novità. Capi di Gabinetto e Capi degli Uffici legislativi in molti casi non dialogano con la struttura amministrativa. Si tratta di personaggi professionalmente preparati ma abituati a gestire l’esistente, spesso senza adeguata sensibilità politica e, quindi, incapaci di suggerire o di comprendere il senso dell’innovazione. La burocrazia, poi, pensa di perdere potere, quel potere che i dirigenti dello Stato e degli enti pubblici si sono ritagliato con la complicità dei sindacati. Non a caso molti sindacalisti oggi ricoprono importanti ruoli nelle pubbliche amministrazioni, spesso senza aver mai esercitato le funzioni propedeutiche alla funzione assunta.
Insomma, la situazione è tale che Renzi deve temere le elezioni europee, perché un flop del suo partito ne sbiadirebbe l’immagine e la sua capacità di condizionare il Governo. Un danno grande anche per il semestre italiano di guida dell’Unione europea perché gli governi degli stati membri ci pesano, sanno dell’autorità del Governo e dei partiti che lo compongono.
In queste condizioni al Segretario del Partito Democratico ed allo stesso Enrico Letta potrebbe convenire sciogliere le Camere ed accedere alla tesi di Berlusconi dell’election day. Per motivi diversi, destra e sinistra hanno interesse a scontrarsi in un confronto a tutto campo dove possano far valere i valori che incarnano o, meglio, che professano, e richiamare tutti al senso di appartenenza ancora rilevante in Italia.
C’è, poi, l’incognita Beppe Grillo. Il Movimento 5 Stelle non ha fatto il flop che molti si aspettavano e si auguravano, non si è dimostrato una semplice fiammata di protesta. Qualche errore lo hanno commesso, ma i parlamentari grillini possono portare a loro vanto una serie di stoccate tirate alla maggioranza ed al governo stanati, come si dice, su alcune iniziative dubbie ed impopolari.
Ed hanno saputo dare voce a quell’antieuropeismo strisciante di cui si è detto. È improbabile che il Movimento perda voti. Anzi potrebbe recuperarne tra gli astenuti e gli incerti, riscuotendo adesioni a destra ed a sinistra, tra quanti possono essere stati indotti dall’esperienza di questo ultimo anno che è meglio dar voce ad una protesta che ha dimostrato di saper influire sulle scelte parlamentari anziché rimanere in silenzio a guardare lo sfascio del Paese.
Quello sfascio del quale nelle grandi città non ci siamo compiutamente resi conto ma che sta segnando la nostra gente da nord a sud con disagi pesanti che incidono non sul superfluo ma sull’essenziale, a cominciare dall’alimentazione che tutti gli indicatori dicono è ovunque ridimensionata. Forse farà bene ad una popolazione della quale si denuncia il sovrappeso, ma se vogliamo essere seri è il primo segnale delle gravi difficoltà della gente. Difficoltà replicata nei saldi che proclamano sconti perfino dell’80 per cento. Dalle vetrine di negozi deserti.
Tra tutti quanti soffrono è la classe media che più si sente abbandonata, gli artigiani ed i professionisti, come i professori dei quali è stato ricordato, in occasione della ritenuta di 150 euro, poi abbandonata, la esiguità degli stipendi. Una autentica vergogna, dacché la cultura è la forza dei popoli e delle nazioni, perché è nelle scuole che si formano i futuri cittadini ed i futuri professionisti e chi insegna merita il massimo di considerazione perché per insegnare è necessario studiare giorno per giorno. Con quali soldi quegli insegnanti a poco più di mille euro al mese possono comprare i libri della loro disciplina, dopo aver mantenuto la famiglia?
Tanti i problemi, dunque. Matteo Renzi ha destato fiducia a destra ed a sinistra perché tutti attendevano un vero decisionista dopo anni di parolai, abituati solo a fare proclami. Ma come è montata la fiducia ugualmente questa si consuma rapidamente alle prime delusioni.
Questo l’Italia non può permetterselo.