Basta dire, dunque, che in un Paese nel quale festività varie sono parte della nostra tradizione e cultura ed i “ponti” sono accuratamente studiati e sfruttati dai vacanzieri, la sospensione dei termini processuali ha la funzione di assicurare un periodo di riposo a giudici ed avvocati, senza l’incubo della scadenze che costellano i codici e le leggi che consentono le impugnative. Questo giova, ovviamente, anche ai cittadini che devono ricorrere al giudice per vedere tutelati i loro diritti o interessi. Che non sono pregiudicati dal periodo della sospensione dei termini. Perché Pancani se la prende, ad esempio, con le ferie dei magistrati e non con quelle degli avvocati è un mistero, peraltro neppure troppo inspiegabile.
Infatti in un Paese largamente dedito alla violazione delle regole, da quelle del parcheggio in divieto di sosta o in seconda fila, come ognuno può verificare nelle nostre città, per non dire di cose ben più gravi come l’evasione fiscale o la fruizione di servizi ottenuta accampando diritti inesistenti, come dimostra la quotidiana scoperta di falsi invalidi, per anni beneficiari di somme non dovute, i giudici, come i Carabinieri, che richiamano il rispetto delle regole, urtano, come si dice, la “sensibilità” di molti. Poi non è neppure vero che i giudici appendono la toga a fine luglio e se ne vanno in vacanza per quarantacinque giorni o un po’ di più, come dice Pancani, che conta anche le festività soppresse che hanno tutti i pubblici dipendenti e forse anche i giornalisti.
Con un po’ di pazienza e con onesta buona volontà Pancani potrà verificare nelle cancellerie e nelle segreterie giudiziarie che nel corso del periodo feriale vengono comunque depositate le sentenze che i giudici hanno scritto nei giorni precedenti. E qui va chiarito all’inclita e al volgo, a chi non lo sa ed a chi fa finta di non sapere o di non capire che scrivere una sentenza non è come riempire un modello mettendo crocette a destra ed a manca, di quelli dei quali le pubbliche amministrazioni fanno largo uso negli adempimenti routinari. Anche le Amministrazioni sono tenute ad adempimenti complessi, come l’adozione di provvedimenti di riconoscimento di diritti o di approvazione di contratti o di atti di gara, nei quali emergono differenziati interessi tutelati dinanzi alla giurisdizione ordinaria e amministrativa. Atti importanti e delicati anche quando il funzionario è guidato dal precedente.
Il precedente giurisprudenziale guida anche il giudice, ovviamente. Ma chi ha un minimo di dimestichezza con le cose della giustizia sa che ogni sentenza ha una propria storia (il fatto), che va accuratamente ricostruita per dare contezza della applicazione della norma che, in diritto, motiva la pronuncia. Questo impegno è in ogni caso delicato, perché coinvolge la responsabilità del magistrato, la sua deontologia professionale nel rispetto della regola antichissima della corretta e compiuta motivazione della sentenza, richiamata anche dalla Sacra Bibbia, secondo la quale “è inviso a Dio tanto il giudice che assolve un colpevole quanto quello che condanna un innocente”.
Una regola che il giudice segue innanzitutto per rispetto del proprio ruolo ed anche per mettere la sua pronuncia al riparo da una eventuale revisione in appello. In quanto è evidente che a nessuno fa piacere se il giudice di secondo grado giunge alla conclusione che i fatti posti a fondamento della sentenza sono diversi e le norme applicate non coerenti con l’impostazione di chi ha introdotto il giudizio o di chi lo ha contraddetto. Ricordando sempre, quanto sostiene ripetutamente Michele Vietti, Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, quando invita a riflettere su alcune proposte in tema di responsabilità civile dei magistrati, che un giudice dà sempre ragione ad una delle parti e torto all’altra, siano entrambe parti private o se ad una parte pubblica si oppone un privato, come accade nei processi civili ed in quelli amministrativi e tributari e sempre nei processi penali.
Tutto questo perché il cittadino deve sapere e capire che il lavoro dei giudice è un lavoro pesante e impegnativo, che sempre richiede ricerche per l’aggiornamento degli indirizzi giurisprudenziali relativi alle norme applicate, anche quando le suggerisce il ricorrente, la controparte o il pubblico ministero. Insomma, con buona pace dei superficiali detrattori del lavoro dei magistrati, siamo sempre di fronte ad un lavoro non esente da difficoltà di ogni genere, come quello di doversi scontrare con norme di ardua interpretazione, scritte male in un susseguirsi di interventi legislativi che determinano non di rado una stratificazione ardua da ricondurre a razionalità. Lo sanno prima di tutto i cittadini che ricorrono ai giudici per non essere riusciti in altro modo a tutelare diritti e interessi. Senza voler essere difensore d’ufficio, visto l’argomento, dei giudici di ogni ordine e grado che, come tutti, possono sempre sbagliare, mi sembra che i problemi della giustizia siano seri e seriamente affrontati dagli addetti ai lavori, a cominciare dagli stessi magistrati ai quali molto gioverebbe un sistema normativo, sostanziale e processuale, più coerente e funzionale. Pertanto la polemica sulle ferie dei magistrati, che hanno la stessa durata di quelle degli avvocati, ripetutamente proposta da Andrea Pancani è certamente fuori luogo.
