Protesta della Lega, a Torino dopo la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte che ha dichiarato illegittima la proclamazione dei risultati delle elezioni del Presidente e del Consiglio regionale del 2010.
Forti i toni, come di consueto (“un attacco alla democrazia”. Minacciosi e barricadieri anche da parte del Segretario Nazionale neoeletto Matteo Salvini (“chi tocca la Lega abbia paura”). Il linguaggio che piace a molti seguaci del Carroccio che la dice molto del senso dello Stato dei dirigenti di quel movimento.
Se è facile criticare i tempi nei quali si sono svolti i processi “da repubblica delle banane”, ha scritto Bruino Mardegan su Twitter, sarebbe necessario distinguere il fatto dalla procedura.
Questa sconta la complessità della vicenda che ha coinvolto questioni penali ed amministrative di competenza di giudici diversi per cui il TAR, che avrebbe dovuto pronunciarsi sulla legittimità della proclamazione degli eletti, non ha potuto farlo fino a quando il giudice competente non ha affermato che le firme con le quali è stata presentata una lista erano false.
Vogliamo dire che l’ordinamento avrebbe potuto e dovuto prevedere che un unico giudice si pronunciasse su tutti gli aspetti della vicenda? Anche su quelli pregiudiziali, dunque, sulla falsità delle 17 autenticazioni di altrettante candidature nella lista Pensionati per Cota, così come è stato stabilito in sede penale dalla Corte di Cassazione, contestualmente alla condanna dell’ex consigliere regionale Michele Giovine a 2 anni e 8 mesi per falso. Se le firme sono irregolari ne discende la illegittimità della proclamazione. Infatti, i voti dei Pensionati di centrodestra furono decisivi a maggio 2010 per il successo di Roberto Cota.
Sarebbe certamente auspicabile una tale revisione normativa che avrebbe consentito in tempi più brevi di adottare la decisione finale.
Detto questo, tuttavia, la risposta di chi ha perduto la causa rispetto al ruolo della magistratura non avrebbe mai dovuto manifestarsi nei termini che abbiamo letto sui giornali e sentito in televisione. Dichiarazioni che dimostrano assoluta mancanza di senso dello Stato. La giustizia, infatti, è l’espressione più alta della funzione pubblica fin dai primi ordinamenti come affermazione del diritto. Ubi societas ibi ius, dicevano i romani, per i quali le regole ed i giudici chiamati ad applicarle avevano lo scopo di assicurare la pace sociale. Ne cives ad arma ruant, dicevano sempre sulle sponde del Tevere e da lì nel mondo si è irradiata la civiltà che nel diritto trova il motivo della sopravvivenza delle società, anche di quelle criminali che, come ben sappiamo, giudicano secondo le loro regole e applicano le sanzioni crudeli che i loro “tribunali” irrogano.
Non si può, dunque, ammettere che un partito rappresentato in Parlamento insulti i giudici anche solo immaginando che dietro la sentenza ci possa essere una congiura contro il partito di governo.
Inoltre nessuno ha ancora letto la sentenza. In proposito il professor Vittorio Barosio, luminare del diritto amministrativo ha affermato, come ha raccolto Lo Spiffero, il vivace giornale on-line diretto da Bruno Babando: “La decisione del Tar è giusta. L’avevo prevista perché il Consiglio di Stato, nel 2012, si è pronunciato molto chiaramente sull’equivalenza del giudicato penale per falso in materia elettorale e quello civile sullo stesso tema. Il giudicato penale c’è, fissato da tre gradi di giudizio. Non si poteva non prenderne atto”. Il professor Barosio ritiene che nelle motivazioni della sentenza si sviluppi anche la prova di resistenza, che è stata l’ultima trincea, secondo la quale va accertato se, detratte le firme false, ve ne sarebbe stato comunque un numero sufficiente a rendere valida la lista.
In ogni caso, come preannunciato, il Presidente Cota potrà ricorrere al Consiglio di Stato in appello.
Queste sono le regole del diritto e del processo e non c’è dubbio che in un ordinamento democratico e liberale chi si candida a governare, lo Stato o la Regione o il più piccolo dei comuni, deve rispettare le regole che il Parlamento si è dato ed evitare di gettare discredito sulle istituzioni, ciò che è causa di gravi turbative nella società. È in questo discredito che si alimenta il malessere e la ribellione alle regole, a cominciare da quella evasione fiscale che proprio la Lega tante volte ha giustificato, quando non sollecitato.
In proposito si legge che lo stesso Salvini avrebbe stracciato il biglietto dell’autostrada che sconta le nuove tariffe entrate in vigore all’inizio dell’anno. Non è questo il modo di partecipare alla vita politica. Se si ritengono le tariffe illegittime c’è un giudice da qualche parte in Italia che le può annullare.
La Lega alza il tono, dice qualcuno, anche perché avrebbe perso consensi. Perché non sempre ha dimostrato di saper amministrare bene, ed anche alcuni dei suoi uomini sono incorsi in vicende giudiziarie disonorevoli.
I “duri e puri” hanno dimostrato di non avere senso della comunità, cioè quella capacità di rispettare le istituzioni e le regole che gli organi rappresentativi dell’elettorato si sono date e che vanno seguite fin quando, nelle forme previste, vengono modificate. Ne cives ad arma ruant, appunto!