ROMA – Salvatore Sfrecola ha pubblicato questo articolo anche sul suo blog “Un sogno italiano” col titolo: “Prove tecniche di regime. Le mani del Governo sul Consiglio di Stato”.
Si sente dire, uso questa espressione per carità di Patria nella speranza non sia vero, che il Governo avrebbe chiesto al Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, l’Organo di autogoverno di TAR e Consiglio di Stato, una rosa di cinque nomi tra i quali scegliere il prossimo Presidente del Consiglio di Stato, carica vacante da quando, alcuni mesi fa, Giorgio Giovannini si è dimesso per protesta nei confronti della decisione governativa di “sfoltire” il ruolo dei giudici amministrativi mandando in pensione anticipata un bel numero di essi, nell’ambito di un preannunciato “ricambio generazionale” che ha mandato a casa i più anziani senza contestualmente reclutare giovani.
È una decisione senza precedenti quella di cui si sente dire, perché i governi hanno fin qui seguito una prassi secondo la quale la norma, la quale prevede che il Presidente del Consiglio di Stato sia nominato con decreto del Presidente della Repubblica su deliberazione del Consiglio dei Ministri, “sentito” il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, è stata costantemente interpretata come una designazione dello stesso Consiglio (tramite l’Organo di autogoverno) nel rispetto dell’autonomia della magistratura amministrativa, in un sistema normativo nel quale la deliberazione del Governo deve essere intesa solamente come una forma di adozione dell’atto di nomina, rimanendo la scelta assegnata all’Organo di autogoverno.
Il sistema della “rosa” di candidati lede a fondo l’autonomia della magistratura amministrativa in quanto introduce un sistema di scelta che attua una accentuata discrezionalità in favore del Governo assolutamente incompatibile con l’indipendenza della magistratura.
Sarà perché il Consiglio di Stato, dimostrando una spiccata indipendenza, ha in questi ultimi tempi adottato una serie di pronunce che hanno dispiaciuto il Governo arrivato a vette di improntitudine straordinarie, addirittura ritenendo irrilevanti l’effetto di talune pronunce “sgradite” del Consiglio in sede consultiva.
La richiesta di una rosa è un segnale che deve preoccupare tutti coloro che credono nell’indipendenza della magistratura (a breve sarà la Corte dei conti a rinnovare il suo presidente) e nel rispetto delle regole costituzionali sulla separazione dei poteri e sul principio di imparzialità, cioè di legalità, che permea l’assetto della Repubblica.
Ornai è evidente che il Presidente del Consiglio nutre fastidio per le regole della democrazia, come dimostra il fatto che ha inteso mortificare ripetutamente il Parlamento costretto a votare sulla base di mozioni di fiducia tutte le leggi che lo interessano, comprese quelle di conversione di alcuni decreti legge che hanno manomesso importanti regole del diritto, come quelle che riconoscono i diritti acquisiti, convalidati da pronunce della Corte costituzionale. Altro organismo inviso al leader che, infatti, non riesce a far eleggere i giudici costituzionali mancanti da tempo perché, a differenza di quanto è avvenuto fin qui con una equilibrata scelta delle varie forze politiche, vuole dalla sua parte tutti i giudici da eleggere, nel timore che una Consulta indipendente potrebbe riconoscere l’incostituzionalità di alcune delle riforme alle quali il Ministro Boschi ha affidato la sua notorietà nella storia del diritto italiano. E non a caso si sentono fare nomi di personaggi, Crozza imitando il Governatore della Campania, De Luca, li chiamerebbe “personaggetti”, i quali avrebbero conquistato il cuore del Presidente del Consiglio con una serie di favori dei quali anche si vanno gloriando nelle anticamere del potere.
Sono note le prepotenze dei governi. E sappiamo che sono sempre indice di intolleranza per le regole. Alle quali spesso ha messo ordine la magistratura. Per questo Renzi cerca di scegliersi il Presidente del Consiglio di Stato che più gli aggrada. Calcolo in ogni caso miope. Le magistrature si esprimono in forma collegiale, laddove il Presidente è soltanto un primus inter pares. Sempre che gli altri componenti del collegio abbiano la spina dorsale dritta.