Sanità pubblica allo stremo, dopo decenni di tagli corposi. Abbiamo perso un anno. Tutto è come prima. Sulla Sanità tante parole e pochi fatti. Gli ospedali sono al collasso, siamo di nuovo nei guai.
Ci avevano promesso che “nessun virus, nessuna nuova ondata ci avrebbe trovato indifesi e fragili” almeno su questo decisivo fronte dell’azione di contrasto del morbo. Parole e musica del trio Conte-Speranza-Arcuri. Il nostro trio Lescano.
Qualcuno, forse, ricorderà le tre sorelle venute dai Paesi Bassi per rifilarci “Tuli-tuli-pan” e “Maramao perché sei morto”. Cose di quasi un secolo fa riprese a maggio dal premier Conte, dal ministro alla Salute e dal commissario Arcuri. Due sono già fuori gioco, Speranza ancora no. Resiste e promette. È fatto così. E Draghi lo ha capito subito. Lo scavalca.Il piano vaccinale sta accelerando. Coinvolte anche 500 parrocchie. Il cambio di registro è sotto gli occhi di tutti.
Ma le terapie intensive e sub-intensive e i letti di area medica Covid stanno saturandosi. L’incubo per la sanità ritorna.
Aveva detto il ministro Speranza dieci mesi fa: ”Aumenteremo del 115% i posti letto e nelle terapie intensive assumeremo medici e infermieri“.
Certo i letti di intensiva sono aumentati. “Ma solo sulla carta“, denuncia l’Aaroi-Emac, il principale sindacato dei medici ospedalieri dei reparti di terapia intensiva.
Cioè i letti ci sono, ma non sono operativi. Sono posti letto teorici. “Sui novemila in teoria disponibili possiamo utilizzarne a stento 7.500” incalza il potente sindacato che dal 1952 tutela i medici “ in prima linea”. Compresi medici di Pronto Soccorso e 118.
Un atto di accusa duro, frontale. Conseguenza inesorabile del tempo perduto. Nel frattempo sono arrivate la seconda e terza ondata. I numeri e le denunce dei medici ci riportano esattamente allo scenario devastante di un anno fa. La medicina territoriale e di base è rimasta carente come nella prima fase. E così, ancora una volta, contiamo morti e malati gravi che potevano essere evitati.
Paghiamo l’anno nero di Arcuri, collezionista di flop, mascherine, banchi a rotelle e le Primule, disegnate da Boeri, per un progetto di vaccinazioni ardito e mai decollato.
Conte ha puntato su Domenico Arcuri e sono naufragati tutti e due. Pensava, prezzemolino Giuseppi, che Mimmo – uno dei più longevi manager di Stato, per di più ad di Invitalia, agenzia per gli investimenti controllata dal ministero delle Finanze – fosse l’uomo giusto.
Quando l’ha nominato (18 marzo 2020) sembrava un colpo di genio. Arcuri sapeva risolvere ogni problema, era in sella da dodici anni. Era soprattutto sopravvissuto a 6 governi. Impresa che solo un fuoriclasse può fare. E Mimmo ne aveva tratto una certa forza e sicurezza, tanto da permettersi risatine di scherno ai giornalisti. L’invettiva contro i “liberali da divano con il cocktail in mano” che lo contestavano per la gestione statalista. Si sentiva vincente e intoccabile. Un personaggio.
Il coronamento estetico del Potere (vedi l’imitazione di Crozza). Era diventato ingombrante con i suoi “non rispondo “ e i suoi “dati creativi” dispensati nelle conferenze stampa. Mario Draghi lo ha congedato. Il plenipotenziario di Conte è sparito dai radar.
Arriva aprile “il più crudele dei mesi“, come scriveva T.S. Eliot. Ma anche marzo non ha scherzato.
Mancano all’appello 53 mila infermieri (fonte Fnopi ) e tremila anestesisti (fonte Asroi). I tassi di occupazione nelle terapie intensive si stanno avvicinando a quelli della primavera scorsa. Sulla Sanità continua il bla bla.
Draghi è stato costretto ad alzare la voce. Ha fatto l’interventista contro le Regioni. Si è fatto capire dai burosauri di Bruxelles. E lunedì sforna il suo primo Dpcm. Conte, di Dpcm ne aveva licenziati 24.
È tornata la paura, si pretende il “ rischio zero” sulle vaccinazioni. Impossibile. Non esiste il rischio zero. Ogni individuo reagisce diversamente a un trattamento. Siamo meno preoccupati di 400 morti al giorno che di un possibile decesso per il vaccino.
E così ritardiamo l’uscita dalla pandemia. Abbiamo bisogno di più coraggio. Certezze non c’è ne sono. Ma, per fortuna, ci sono le opportunità.