Vivere a Roma ha molti aspetti positivi, a cominciare dal clima. Ne anche di negativi, come ogni città anche se purtroppo questi ultimi sono ormai prevalenti. Non c’è più l’aria da paesone che una volta Alberto Sordi rimpiangeva parlando con Giulio Andreotti, ora è un paesaccio, con i difetti della metropoli senza quel senso di grandezza che ti danno altre capitali occidentali come Londra Parigi o New York.
Ad aggravare l’atmosfera ci sono poi i cortei, fatti non tanto per esprimere opinioni e stati d’animo quanto proprio per dare fastidio. Di solito i cortei non si fanno durante la settimana, l’ultimo, o uno degli ultimi, fatto in un giorno feriale quello di quei poveri disperati lavoratori di Termini Imerese che, dopo avere scoperto di essere stati presi in giro un po’ da tutti, dal sindacato alla Regione siciliana, sono andati sotto le finestre di palazzo Chigi a fare le prove di canto in vista del festival di Sanremo.
Il giorno preferito dei cortei è invece il sabato, perché chi vi partecipa non perde una giornata di lavoro, se viene da fuori ci può sempre aggiungere un buon piatto di carbonara, qualche monumento e magari anche una mostra. Poco conta che quelli che dovrebbero essere i destinatari della manifestazione siano tutti lontani, nelle loro città oppure nelle loro seconde case.
Poco conta che tu percepisca nell’aria le maledizioni che ti mandano quelli che aspettavano il sabato per quelle tante commissioni piccole e grandi che ogni famiglia si tiene per quel giorno.
In fondo è una gran bella prova di forza bloccare una città, la capitale, per un pomeriggio intero: siamo tanti, siamo forti, abbiamo passato un pomeriggio diverso dal solito, abbiamo gridato la nostra rabbia. E voi zitti.
Riconosco che ci siano fondati motivi per quella rabbia, però non sopporto l’idea che uno decida che il mio sabato pomeriggio debba essere violentato perché ce l’hanno con la libertà di stampa (e in questo caso non sono nemmeno d’accordo sulle ragioni) e nemmeno perché ce l’hanno con Berlusconi, perché intanto non è con quei cortei che lo induci ad andarsene.
Sono lontani i tempi in cui un corteo di portuali fece cadere il governo Tambroni o in cui la proclamazione di uno sciopero generale indusse Mariano Rumor a dimettersi. Oggi ci sono solo due modi, oltre all’intervento del Padreterno, per fare “mandare a casa” (cosa che sembra essere la massima aspirazione di Pier Luigi Bersani) Berlusconi: o un cambiamento di maggioranza parlamentare o un cambiamento del voto degli italiani. Da lì non si esce, e il farneticare quasi golpista di Berlusconi (“io sono l’unico eletto dal popolo”) conferma l’inutile sforzo di esorcizzare un eventuale ribaltone a opera di un numero consistente di parlamentari ex An, che non c’è, o a opera della Lega, che non ci pensa nemmeno.
Ci fu, dopo il primo biennio di premierato berlusconiano, quasi vent’anni fa, un ribaltone parlamentare attuato da Bossi: Bossi è stato per un periodo nemico di Berlusconi (ricordate il “Berluskaiser”?) e alleato della sinistra, dopo di che Berluskaiser ha imparato la lezione e è diventato il migliore amico di Bossi, la Lega ha continuato a crescere in sapienza, potenza e consensi e sta ben lontana da una sinistra che proprio non ce l’ha voluto (preferendo poi Di Pietro) e oggi sembra molto poco attraente come alleato e accoglie ogni notizia sulle difficoltà personali e pubbliche di Berluconi con gioia, come una nuova occasione per strizzare all’ex Berluskaiser oggi Berluscùn ogni parte strizzabile per ottenere il massimo di subordinazione e di vantaggio politico.
Sono anche commoventi questi sforzi di piazza, sotto bandiere di un colore che giustamente gli attori bravi di una volta avevano bandito (la crisi economica mondiale sta coincidendo con il periodo in cui la moda ha adottato quel colore: sarà bassa superstizione, ma ditemi se non è così e vedrete se non finirà quando quel colore sarà finalmente uscito dal guardaroba delle donne).
Però non portano a nulla, perché chi è al potere, tanto più che è inverno, tiene le finestre ben chiuse e non sente, e anche chi è all’opposizione se può si defila, per non legare il suo nome a iniziative tanto di successo quanto impopolari. A determinare l’esito delle elezioni non saranno gli occupanti dei duecento pullman che questa volta sono attesi a Roma, ma i milioni di cittadini che guardano alla piazza con sospetto, paura e anche delusione, visto che di scioperi e di manifestazioni in strada l’Italia ne ha visto negli ultimi sessant’anni più del resto del mondo.
E questo fa venire il dubbio che scendere in piazza non porti voti come scendere in campo, ma ne faccia perdere.