Le vendite dei quotidiani in edicola sono in calo continuo da vent’anni. Se vogliamo elencare in pochi punti le principali cause della crisi dei giornali, eccole:
1. il sempre minore interesse del pubblico per quello che si trova sui giornali: troppa politica, troppo poca cronaca;
2. il prezzo eccessivo rispetto all’interesse;
3. l’offerta molto ampia, che non è data solo da internet ma anche dalla tv e dalla radio; quando fu permesso o imposto (non ho mai capito come andò) a Berlusconi di fare il Tg5 ebbe inizio il declino dei grandi giornali, con un certo aiuto dall’andata al potere della sinistra (Amato, Ciampi) e il conseguente allineamento dei giornali – che prima erano all’opposizione – alle tesi governative.
- Ads: quanto vendevano i quotidiani italiani fra il 1999 e il 2003 (clicca e scarica il pdf)
- Ads: quanto vendevano i quotidiani italiani fra il 1995 e il 1999 (clicca e scarica il pdf)
- Ads: quanto vendevano i quotidiani italiani fra il 1991 e il 1995 (clicca e scarica il pdf)
Vediamo nel dettaglio. Che i giornali interessino sempre meno alla gente, in assoluto, a prescindere dalla concorrenza di tv e internet, sembra incontrovertibile. Che questo dipenda da come sono fatti lo è altrettanto. Se pensate quanto spende in media al giorno in caffè uno di noi, a colpi di 1 euro, più o meno, a tazzina, capite quanto poco i giornali siano considerati nella scala dei valori dei cittadini. Purtroppo è così da sempre. Purtroppo, più il prezzo del giornale si allontana, per eccesso, da quello del caffè, più le copie vendute calano.
Ma la crisi ha colpito duro anche gli altri Paesi e la pubblicità è scesa dappertutto. Da noi, oltre all’austerità di Monti, hanno pesato lo sviluppo di Sky, che si è appropriata di un valore pari alla pubblicità nazionale di Repubblica o del Corriere, a scelta. E poi la guerra dei prezzi scatenata dalla Rai contro Mediaset, da sempre capofila nel fare terra bruciata nel campo della pubblicità.
In Italia, invece, l’effetto internet è stato meno potente che all’estero, perché il grosso impatto di internet sui giornali è stato nel campo dei piccoli annunci, la pubblicità classificata, che da noi non rappresentava più, fin dagli anni 80, una quota decisiva dei ricavi. Nella maggior parte degli altri paesi, invece, la classificata aveva un peso significativo ed è stata spazzata via dai siti di annunci come Craig’s List prima ancora che Google.
Ora poi la fame di soldi di Google e Facebook sta completando il disastro, anche in Italia.
Questo porta alla seconda fondamentale causa del calo delle vendite, l’aumento del prezzo, scelta inevitabile che unisce gli editori di tutto il mondo, dall’Italia agli Usa, dalla Gran Bretagna al Malawi.
Il prezzo non è tutto, ovviamente conta la “linea”, conta come è fatto il giornale. Prendete i tre grandi giornali popolari inglesi, il Sun, il Daily Mail e il Daily Mirror. Il Sun costa 40 centesimi di sterlina, il Mirror e il Mail ne costano 65. Ma il calo delle vendite, per il Daily Mail, non sembra patire il prezzo:
- il Sun è sceso da 3 a 1,8 milioni di copie dal 2010 al 2016: calo del 40%.
- Il Daily Mail da 2,1 milioni a 1,6 milioni: calo del 24%
- Il Daily Mirror da 1,2 a 1,6 milioni: calo del 33%.
Il giornale popolare tedesco Bild ha tenuto il prezzo relativamente basso: 60 centesimi, in edicola. Questo non ha però arrestato il calo delle vendite, attorno ai 2 milioni di copie, la metà del livello del 2001, che era di 4,3 milioni. Repubblica e il Corriere della Sera, nello stesso intervallo di tempo hanno perso due terzi delle copie. Il loro prezzo è due volte e mezzo quello della Bild. Che, nella sua versione cartacea, è un giornale bellissimo, lo capisci anche se non sai il tedesco, ma anche il sito internet è ricchissimo. Il prezzo compensa e bilancia.
Per i giornali americani, la crisi ha determinato un radicale cambio di impostazione, con il ritorno al modello pre 1830, quando gli editori scoprirono che la perdita di guadagni causata da un prezzo basso era più che compensata dalla pubblicità, grazie all’ampliamento della base dei lettori. In pochi anni, gli editori sono passati da un rapporto 20-80 fra ricavi da copie vendute e pubblicità, a un rapporto 55-45 oggi, mentre i prezzi sono schizzati da un quarto di dollaro a 2 dollari per molti grandi e piccoli giornali.
Per avere un’idea dell’Italia, prendiamo i bilanci semestrali del 2016 di Gruppo Espresso (Repubblica + Finegil) e Caltagirone, che fra i grandi gruppi editoriali italiani sono quelli più comprensibili per un umile cronista.
1° Semestre 2016 | 1° Semestre 2015 | |
Caltagirone editore | (in milioni di euro) | (in milioni di euro) |
Ricavi da vendite giornali | 29.195 | 32.295 |
Ricavi da pubblicità | 43.940 | 44.906 |
Rapporto Vendite-Pubblicità (%) | 40-60 | 42-58 |
Repubblica | ||
Vendite giornali | 56.500 | 57.100 |
Pubblicità | 46.900 | 53.500 |
Rapporto Vendite-Pubblicità (%) | 55-45 | 52-48 |
Quotidiani locali Finegil | ||
Vendite giornali | 47.300 | 49.900 |
Pubblicità | 27.200 | 28.500 |
Rapporto Vendite-Pubblicità (%) | 63-37 | 64-36 |
Le differenze di rapporti fra i due gruppi sono alla vostra interpretazione, possono dipendere dal territorio o anche dal combinato disposto di direttori più o meno bravi, venditori di pubblicità più o meno bravi.
Poi c’è la concorrenza di internet, che è innegabile. Nella maggior parte dei casi è auto concorrenza. Come fate a pensare di restare in piedi se fate leggere gratis su internet quello stesso contenuto che fate pagare se stampato su carta? La domanda l’ha posta Warren Buffett, “l’oracolo di Omaha”, mito della finanza mondiale e grande azionista della Washington Post.
La coperta è corta e finora nessuno ha trovato la risposta. C’è chi ha provato a far pagare la versione on line, ma nessuno ha mai fornito informazioni precise sui risultati. Alcuni giornali italiani fanno vedere on line i titoli, poi se vuoi leggere le notizie devi pagare. Ti fa passare la voglia, soprattutto per con i quotidiani nazionali.
Per i giornali locali far pagare le news su internet è un discorso che può. Ma c’è sempre il rischio che un sito locale alternativo ricicli o semplicemente rubi gli articoli. Mentre il giornale locale mette le barriere sul web, il “pirata” si compra la copia in edicola, la scannerizza e pubblica tutto. Poi, se il giornale locale è fatto male o nasconde le notizie, c’è anche il rischio che nasca un altro giornale solo on line che le notizie le dà tutte.
Attenti a non farvi ingannare dalla propaganda degli americani. Negli Stati Uniti i giornali sono tutti locali (tranne il Wall Street Journal), New York Times incluso. Hanno un sistema di distribuzione diverso dal nostro, la maggior parte delle copie non è venduta in edicola ma consegnata a casa. Rimane abbastanza facile proporre un pacchetto carta+web che blinda la vendita della copia cartacea con l’accesso illimitato al web. In questo caso, però, l’accesso all’edizione on line è quasi un incentivo all’abbonamento su carta. Lo potete fare anche in Italia. A Roma, con l’abbonamento vedete il New York Times on line e ve lo portano anche a casa la mattina.
Per i giornali italiani puntare sugli abbonamenti è proibitivo. Ne sanno qualcosa al Corriere della Sera e alla Mondadori. Non sembra ancora che qualcuno abbia trovato la strada giusta. Un sito internet con poche notizie, giusto di copertura, può funzionare in province dove non c’è sufficiente domanda pubblicitaria per giustificare il pur modesto investimento di un sito pirata, meno che mai di un sito alternativo.
Ma nelle grandi città e sul piano nazionale, l’esperienza tipo Blasting News, che paga le notizie al consumo, dimostra che lo spazio c’è per una concorrenza agguerrita. In questo caso il giornale nazionale o regionale non ha scelta. Deve fare un buon sito, anzi un sito eccellente. Anche se questo ti fa rimbalzare alla domanda di Buffett.