ROMA – Sei una lavoratrice addetta alle pulizie in un’area di servizio sulle autostrade, per questo ingrato lavoro hai regolare contratto con ditta d’appalto e misero stipendio: 700 euro al mese. Quindi decidi di “arrotondare”, è comprensibile, umano. Arrotondare ma come? Chiedendo in maniera più o meno esplicita più o meno ogni giorno la mancia, l’obolo davanti alle toilettes dell’area di servizio. Comprensibile, umano. Ma scorretto, contrattualmente scorretto, importuno e molesto per chi usufruisce dei servizi dell’area e nocivo all’immagine e agli interessi di chi la gestisce. Quindi ti arrivano degli avvisi, delle “contestazioni”, prima verbali e poi per iscritto: ti si dice in ogni forma che soldi e mance agli utenti dei servizi igienici non vanno chiesti. Regolare, ovvio, civile. Tu fai più o meno finta di non sentire o comunque non dai peso e seguito ai richiami, continui ad “accettare” le mance più o meno spontaneamente versate. Il comprensibile e umano a questo punto sta diventando, è diventato comportamento ostinato, testardo, di sfida e disprezzo delle regole. Dopo due anni ti licenziano. Quindi vai dall’avvocato per andare con lui davanti al giudice del lavoro a chiedere il reintegro nel posto di lavoro, le mensilità arretrate e i danni.
A questo punto la mutazione è piena e compiuta: il comprensibile e umano diventa indifendibile e diabolico. Ma ancor più diabolico è anche e soprattutto l’esito possibile della vicenda, e cioè che il giudice del lavoro ti dia ragione e ti reintegri al posto di lavoro. Diabolico è che possa vincere e valere l’argomento “formale” del tuo avvocato (le mance le prendeva ma non si può dimostrare che le chiedesse). Diabolico è il tuo argomento messo in campo (“pago un affitto da 630 euro, sfido chiunque a rifiutare le mance”). Diabolico è che un sacrosanto diritto del lavoratore, il non poter essere licenziato senza giusta causa, il diritto ad essere reintegrato se “giusta causa” non c’è, si trasformi nel diritto di fatto ad essere intoccabile.
Questa piccola ed estrema storia andata in scena nell’area Paganella Est sulla corsia Nord dell’autostrada del Brennero è una piccola ed estrema parabola della trasformazione di un sacrosanto diritto, di una sacrosanta garanzia per il lavoratore nel bunker di un privilegio di fatto, di una immunità a prova di ogni comportamento contrattualmente scorretto. La giusta legge che impedisce di licenziare senza grave, gravissimo motivo diventa dogma. Arrogante come ogni dogma, officiato da avvocati, turibolato da sindacati, quasi sempre impartito dalla magistratura del lavoro. Perché il reintegro spesso, troppo spesso, quasi sempre viene concesso e riconosciuto non solo al “povero cristo a 700 euro al mese”, ma anche a chi incassa ben più alti stipendi: il reintegro è un diritto che quasi sempre in Italia è riconosciuto a prescindere da quello che dovrebbe essere il suo obbligatorio compagno, e cioè il dovere.
Della storia minima di Giulietta Mistrorigo e della Miorelli, l’azienda che l’ha licenziata disponiamo di due opposte versioni: quella dell’azienda che le contesta di fatto l’accattonaggio a danno dei clienti (giustissima causa se dimostrata) e quella della dipendente che nega e minimizza, asserendo la richiesta e la concessione di mance essere episodica e non sistematica. Non siamo in grado di sapere e giudicare quale sia la versione rispondente ai fatti. Però una cosa la sappiamo: se “innocente” sicuramente la signora sarà reintegrata nel posto di lavoro dalla magistratura, sicuramente, ci si può scommettere. Ma se “colpevole” la signora ha lo stesso buone probabilità di essere reintegrata perché “alcuni provvedimenti disciplinari non sono stati formalizzati”, perché chi dimostra che le mance erano chieste da un muto ma incombente ed esattivo sguardo su chi entrava o usciva dal bagno dell’area di servizio, perché 700 euro al mese…Ecco, in un paese normale e civile quella probabilità in caso di “colpevolezza” dovrebbe essere zero. Non è così ed è anche perché esiste questa non esigua probabilità che un sacrosanto diritto diventa talvolta, spesso, troppe volte il suo contrario.