BERLINO – L’oro tedesco deve tornare in patria. Seconda solo agli Stati Uniti per le riserve aurifere, la Germania custodisce il suo tesoro da 3400 tonnellate per la gran parte all’estero, in particolare a New York, al quinto piano sotterraneo della Federal Reserve nel caveau di Manhattan. Bene, quel 45% di riserva di oro in lingotti tedeschi la Bundesbank la vuole vedere con i suoi occhi, prima di riportarla a casa. Così come le riserve in lingotti custodite a Parigi e Londra. Stanno lì, fuori cioè dalla vista e dal controllo germanico, dalla fine della II° guerra mondiale.
Motivi di sicurezza e opportunità politico-strategica. Tuttavia, la fine della guerra fredda non giustifica più l’allocazione all’estero dei lingotti. La crisi perdurante, i cattivi segnali sull’economia tedesca, la debolezza della moneta unica, il debito americano che oscilla sul precipizio fiscale, tutto induce la Germania a riportare dentro i suoi confini quei 130 miliardi di euro con cui sono valutate le sue riserve complessive.
All’inizio sono state le iniziative di alcuni giornalisti a riproporre il tema, delicatissimo, soprattutto in relazione alla storica diffidenza verso la potente Germania. Ma adesso molte cautele, ancora discriminanti all’epoca della riunificazione, sono cadute, o perlomeno la Germania si fa meno scrupoli. Tre mesi fa la Corte dei Conti federale ha fatto richiesta formale alla Bundesbank di rimpatriare almeno 50 tonnellate di oro da New York e redigere un inventario delle riserve tedesche depositate a Londra e Parigi.
Bundesbank si è attivata e ha annunciato (ne dà conto il quotidiano Handesblatt del 16 gennaio) un nuovo piano di deposito. Bundesbank intende in particolare ridurre le riserve custodite negli Usa e azzerare completamente il volume di lingotti del metallo prezioso depositati in Francia. I membri della Corte, infatti, aveva sollecitato la banca centrale, in particolare criticando il fatto che la banca non avesse mai verificato la “presenza fisica” dei lingotti. Attualmente, scrive Handelsblatt, Bundesbank custodisce parte delle 3396 tonnellate di oro tedesche a New York (45%), Parigi (11%), Londra (13%), oltreché a Francoforte (31%).
Un giornalista di Handesblatt ha potuto visitare il caveau di Manhattan restando parecchio deluso: ha potuto ammirare solo un centinaio dei 122.597 lingotti tedeschi. Abbastanza per alimentare una nuvola di preoccupazioni e paranoie come quelle che avvolge la leggendaria Fort Knox, il deposito più ricco e blindato del mondo. La domanda che si impone è seria: non è che quei lingotti sono solo nominali, cioè che le preziose barre, per esempio, sono solo dorate alla superficie? Dal momento che le ultime verifiche dell’oro detenuto a New York sono state fatte nel 1979/1980 (fonte sito web Euro Intelligence) una controllatina si impone.
D’altra parte, la mossa può suonare anche come un esplicito segnale di allerta. Perché la Germania ritira il suo oro proprio in questa congiuntura? Si prepara, o comunque, studia uscite di sicurezza dall’euro pericolante? O, peggio ancora, teme un crack rovinoso del dollaro statunitense? In teoria, non avrebbe troppo significato e importanza che la Federal Reserve Bank di New York conservi ancora tutto l’oro tedesco o che questo corrisponda effettivamente alla sua purezza dichiarata. E’ fondamentale invece che queste riserve possano essere vendute, affittate o utilizzate come garanzia. Fintanto che nessuno controlla o ispeziona alcunché o l’oro non viene prelevato, non conta veramente che il metallo ci sia. Importa, piuttosto, il suo valore nominale, contabile, condiviso sia da Bundesbank che da Federal Reserve.
Ma immaginate che questo accada, cioè che al valore nominale non corrisponda il giusto numero di lingotti e della purezza giusta. L’affidabilità dei banchieri centrali crollerebbe alla velocità della luce e con loro il presidio di garanzia rappresentato nei confronti dei mercati.