Un nuovo fantasma, si aggira per l’Europa, il populismo. È un vento che provoca “sinistri scricchiolii”.
Un quarto del Parlamento europeo, quello che uscirà dalle elezioni 2014, sarà di partiti socialisti. In questo momento ne sono contati 27 con almeno il 5 % dei voti, ma 11 hanno superato il 15%.
I commentatori non hanno il coraggio di evocarlo, ma le caratteristiche del populismo di oggi, come programma eversivo e base elettorale, ricordano il fascismo.
Due grandi vecchi del giornalismo italiano, Mario Pirani e Bernardo Valli, toccano lo stesso tema su Repubblica. Partono da ottiche diverse, quella italiana Pirani quella internazionale Valli, per concludere assieme: c’è da avere paura.
Stranamente nei loro articoli Mario Pirani e Bernardo Valli non nominano, se non un cenno, Beppe Grillo e il suo Movimento 5 stelle. Non c’è da credere che dipenda dall’età (hanno più di 80 anni, ma entrambi danno punto ai giovanissimi) o dalla distanza dall’Italia di Valli che vive a Parigi.
Probabilmente dipende dal fatto che Beppe Grillo fa troppa paura anche solo per nominarlo. Molti dei suoi argomenti sono puro buonsenso, sono condivisibili da tutti. Fa paura il suo modo di manifestarsi, gli urli, gli insulti, la violenza verbale.
Girarsi di là però non serve, si rischia di commettere errori già commessi quasi cent’anni fa dalla classe dirigente dell’epoca: Beppe Grillo, come prima di lui Mussolini, non è un utile idiota, persegue un suo progetto eversivo, al fondo del quale però non c’è il socialismo ma c’è una visione del mondo da Medio Evo. Non a caso sembra quasi volere ingaggiare Papa Francesco: lanciano lo stesso messaggio anti industriale, anti progresso, destinato a fare dell’Europa una appendice del terzo mondo dai cui confini anche il Papa proviene.
Il parallelismo tra populismi di oggi e fascismi di ieri è forte anche se ci sono coincidenze e divergenze. Allora c’era una crisi economica devastante, come oggi, ma il comunismo era in marcia mentre ora è finito.
Il ciclone che ci investe ora, nota Bernardo Valli,
“ha un’impronta europea. È in parte attribuito a un declino, a un declassamento del Vecchio continente. Trova un terreno favorevole nelle democrazie confrontate all’emergenza di un mondo nuovo, dominato dall’incertezza. È un discorso portatore di un virus politico, dal quale neppure gli autentici partiti democratici sono del tutto immuni. Non è tanto uno spettro che si aggira per l’Europa, quanto un vento che soffia sulle nostre società, provocando sinistri scricchiolii”.
Bernardo Valli, che basa il suo articolo anche su libri usciti in Francia sul tema, riconosce che
“il populismo è un discorso antico”, vecchio almeno come l’antica Roma: ma se i greci non avessero curato così la loro immagine filosofica e democratica, scopriremmo che anche da loro… E forse anche presso Assiri, Sumeri, e anche quando Neanderthal incontrò l’ultima generazione di uomini eretti e sapienti.
La definizione
“più diretta, meno lusinghiera, indica il discorso di uomini o movimenti che, attraverso promesse elettoralistiche, cercano di conquistare l’approvazione popolare esacerbando le frustrazioni, risvegliando pregiudizi nazionalisti, xenofobi, razzisti, o esagerando i problemi della sicurezza.
“Il bersaglio delle critiche è l’élite al potere, dalla quale deve dissociarsi il popolo, considerato un insieme di individui, non suddivisi in classi sociali e spinti da collera, rancore, indignazione a seguire un leader carismatico e un partito capace di esprimerne l’ideologia. Il terreno d’azione è quello di una democrazia rappresentativa: per questo l’epidemia populista affonda le radici nelle nostre società in crisi.
“La base elettorale dell’estrema destra populista conta anzitutto piccoli commercianti, artigiani, operai: è formata da strati della società in cui prevale un sentimento di declassamento, di smarrimento di fronte alla mondializzazione, che espone i singoli paesi alla concorrenza internazionale, e a un’Europa in declino che non sa proteggersi. La crescente disoccupazione è attribuita alla mancanza di difese efficaci. I partiti populisti non si augurano la fine dell’economia di mercato, né sono nemici del capitalismo. Vogliono un’economia nazionale controllata da uno Stato forte, capace di ristabilire le frontiere e applicare una politica protezionista. Condannano il potere delle banche, della finanza internazionale, che sottrae al popolo le sue naturali risorse. E se la prendono con i ricchi, con coloro che governano con la politica o con il denaro. (In questo quadro il movimento di Grillo potrebbe trovare uno spazio).
“I successi elettorali dei movimenti populisti sono cominciati con la scomparsa o quasi dei partiti comunisti, con il calo dei consensi a quelli socialdemocratici, e in generale a quelli di governo.
“Il modello tradizionale dell’estrema destra, neo fascista o neo nazista, appartiene ormai al passato o sopravvive a stento.
“Due sono gli itinerari seguiti dai partiti politici convertiti, in parte o del tutto, alla nuova, devastatrice protesta. Il primo riguarda i movimenti dell’estrema destra razzista i quali agiscono per opportunismo. I dirigenti più giovani abbandonano o accantonano le vecchie ideologie neo naziste, neo fasciste, antisemite e negazioniste (dell’Olocausto). E archiviano l’anticomunismo, non solo perché il comunismo si è dissolto, ma anche perché un’ampia porzione degli strati popolari un tempo sensibile ai suoi richiami adesso rappresenta un elettorato da conquistare. I populisti si adeguano con pragmatismo alle nuove realtà. Non mancano di spirito imprenditoriale. Conoscono la cultura del marketing.
Segue un esame dei principali partiti populisti europei: il Fronte Nazionale dei Le Pen in Francia; lo Ukip (United Kingdom Independence Party) che tre settimane fa ha ottenuto il 23% alle elezioni amministrative in Gran Bretagna, e al quale i sondaggi promettono il 20 % a quelle politiche del 2015; la Afd in Germani cui i sondaggi attribuiscono “circa un quarto dell’elettorato”.
Nota Bernardo Valli che però
“sono rari coloro che si dichiarano apertamente populisti o di estrema destra. Sono rari soprattutto nei partiti della destra rispettabile, dove le tentazioni populiste sono vive e tenaci. E che si esprimono sollecitando più o meno apertamente alleanze con i partiti estremisti, tenuti ufficialmente fuori dall’“arco costituzionale” come si diceva tempo fa in Italia. Nelle competizioni elettorali il populismo è emerso a tratti, in modo evidente, in tanti paesi europei. Senz’altro con Sarkozy in Francia, e con Berlusconi in Italia. Due personaggi per altri versi incompatibili. La tentazione di una complicità con il Front National è ancora forte nell’Ump (l’Unione per un movimento popolare) di cui Sarkozy è stato il presidente.
“E in Italia la Lega populista e il Pdl hanno governato insieme per anni”.
Mario Pirani parte dal Trattato di Maastricht
“che aveva tre pilastri che, poi, di fatto, erano quattro: il primo pilastro era costituito dall’unione monetaria e dall’unione economica, poi c’era la politica estera e di sicurezza comune, quindi gli affari interni di giustizia. […] . Il primo pilastro – unione monetaria e unione economica — fu quello che andò avanti con forza, gli altri con il passar del tempo hanno mostrato molta lentezza… l’asimmetria porta contraddizioni che diventano esplosive per società in ebollizione come le nostre, per gli elettorati dei nostripaesi. Se queste contraddizioni non saranno risolte, i nostri elettori si sposteranno verso posizioni radicali. Dove l’aggettivo “radicale” sta per estremista.
“Proprio su questo punto dovremmo riflettere e ricordarci che la crisi del ’29”
ebbe sbocchi molto diversi tra “America e Europa:
-negli Stati Uniti prese vita
“l’ esperimento rooseveltiano, con una ripresa economica”,
– in Europa sboccò invece
“nel nazismo in Germania che combatté la disoccupazione con il riarmo, l’Esercito del Lavoro e l’Ordine hitleriano;
– nel fascismo in Italia
“con l’autarchia e le leggi del lavoro fasciste (proibizione dello sciopero e dei sindacati in una Italia totalitaria)”;
-nell’Unione Sovietica
“in un inasprirsi dello stalinismo imperniato sulla rigidità della pianificazione”.
“Dappertutto la xenofobia e l’antisemitismo estremo accompagnarono il cosiddetto risveglio nazionalistico. Oggi non ci accorgiamo ancora che questo è il panorama che abbiamo di fronte: ad un anno dalle elezioni nel maggio 2014 per il Parlamento di Strasburgo, oggi baluardo dell’europeismo, si prevede che gli elettori possano eleggere un quarto di deputati populisti – da 100 a 150 – che vanno dagli euroscettici inglesi all’estrema sinistra greca, dai Veri Finlandesi agli antirom ungheresi, dagli antislamici fiamminghi ai post nazisti austriaci.
In Italia ambivalente è la posizione grillina e tiepida quella berlusconiana, antieuropei i leghisti. Tutte forze che in Parlamento europeo,
“potrebbero indebolire fortemente i due partiti storici, popolari e socialisti. L’ Ue diventerà il bersaglio del connubio populista destra- estrema sinistra. Per farvi subito fronte si parla (ma si parla solo) di misure urgenti per il lavoro e di candidature uniche, transnazionali, compreso il presidente, per le cariche elettive dell’Unione. Capiranno in tempo le forze democratiche europee il pericolo che corrono? Lo capirà l’Italia? Questa è la più ardua scommessa anche per Enrico Letta”.