Negli ultimi vent’anni tuttavia per giustificare la guerra, dall’Iraq, all’Afghanistan, gli strateghi della rappresaglia militare hanno adoperato locuzioni più caute, per cercare di placare preventivamente le contestazioni dei “soliti” pacifisti. “Guerra giusta”, “intervento umanitario”, “obiettivi mirati”, “raid strategico”, “target chirurgico”, “bombe intelligenti”… Gli appellativi sono diversi ma la sostanza è la stessa. Si legittima l’uso delle armi con il pretesto di esportare la democrazia, eliminare le armi di distruzione di massa (salvo poi scoprire come in Iraq che non esistevano), tutelare i diritti umani. In realtà ciò che produce la guerra, comunque essa viene chiamata è tutt’altro: strage di civili, distruzione di infrastrutture economiche e sociali, di beni artistici e naturali, inquinamento del territorio… I dittatori vengono spodestati ma il fondamentalismo si acuisce e non si rimuovono le condizioni culturali che permettono il risorgere di nuove dittature. Sul sito Change.org c’è un appello (firmato tra gli altri da Rodotà, Landini, Notarianni, Strada, Mannoia…) dal titolo “Se vuoi la pace prepara la pace”.
Per ribadire che l’unica vera via per costruire la pace è la prevenzione dei conflitti e il rispetto dei diritti umani. Perché la storia ci insegna che “le grandi potenze soffiano sul fuoco per alleanze politiche o interessi economici, anche legati alla vendita di armi, e ignorano le violazioni di diritti umani quando queste vengono commesse dai propri alleati”. Un intervento armato non porterà soluzioni, ma un crescendo di lutti e disastri. L’Italia si metta a lavorare per costruire nel mondo pace e diritti e si chiami fuori da questa guerra, chiunque decida di farla.
Firma qui la petizione: http://www.change.org/it/petizioni/siria-se-vuoi-la-pace-prepara-la-pace-paceinsiria