Mariano Rajoy ha un incubo. Il primo ministro della Spagna sogna, con terrore, che la Catalogna si è separata dalla Spagna; che il 25,7 per cento di disoccupati non ne può più e lo aspetta sotto casa con dei forconi; che il crollo della produzione industriale (meno 7,3 a novembre) sta minando le basi delle imprese spagnole; che la Borsa si imbizzarrisce, dopo un periodo di bonaccia, proprio per le difficoltà delle imprese; e che, messo alle corde dalla crisi, è costretto controvoglia a chiedere l’aiuto dell’Europa.
Un incubo o qualcosa di molto vicino alla realtà? Vediamo, innanzitutto, cosa ci dicono le previsioni macro dello Oxford Economics, il principale centro di previsioni mondiale, collegato con la Oxford University.
In primo luogo è drammatico vedere che il prodotto interno lordo spagnolo segnerà una decrescita dell’1,4 per cento quest’anno 2013, per poi crescere solo dello 0,3 nel 2014 e di un appena decoroso 1,2 nel 2015. I consumi privati passeranno poi dal -2,0 per cento di quest’anno a un altro segno negativo, lo 0,1 per cento l’anno prossimo, fino a risalire a un modesto 1,0 nel 2015.
Gli investimenti fissi caleranno di un brutto 5,5 per cento quest’anno, dello 0,2 l’anno prossimo fino a risalire al 2 per cento nel 2015. I consumi statali segneranno una striscia negativa: -5,7, -3,4, -1,0 nel 2015. In questo quadro negativo, nel quale solo le esportazioni avranno una buona performance (+5,5, +4,1, +4,4) non potrà non rimanere elevata la disoccupazione, intorno al 26 per cento, e crescerà pesantemente il debito pubblico: l’87,8 quest’anno, il 93,7 l’anno prossimo fino al 97,4 del 2015. Che brutto triennio.
Prima o poi i mercati, che comprano ancora i bonos spagnoli, si accorgeranno di questa situazione. E non saranno certamente le misure di austerity a correggerla, anzi provocheranno ulteriore recessione.
Ma come intende reagire il governo a quest’incubo?
Guerra alla Catalogna. Regione ricca, capitale Barcellona, otto milioni di abitanti, con un Pil pro capite superiore a quello medio della Spagna, ha sofferto della politica fiscale governativa, che ha riacceso il separatismo. Ora gli indipendentisti vogliono varare il referendum, da tenersi nel 2014, anche se sanno che forse lo perderebbero (però il 37 per cento dei catalani è già pronto a lasciare al tempo stesso Spagna e Unione europea), perché il solo fatto che prima si convochi (presto) e poi si tenga sarebbe una pietra miliare nella marcia verso l’indipendenza. E infatti Rajoy si è detto pronto ad impedirne l’organizzazione “con ogni mezzo”. Con ogni mezzo? Fino ad arrivare a scontri armati? Contro una regione ribelle, sì, ma anche uno dei “quattro motori” d’Europa insieme alla Lombardia, al Baden-Wuttemberg e al Rodano-Alpi.
Il re chiede aiuto. Prima di cedere ad altre alternative, nell’ultimo vertice iberoamericano, il re Juan Carlos ha lanciato un appello:
“L’America latina fa progressi, mentre da questa parte dell’Atlantico facciamo i conti con una situazione difficile. Il nostro sguardo è rivolto a voi. Abbiamo bisogno di più America latina”.
Insomma: ex colonie aiutateci voi. Ma dai primi pour-parler sembra che non tiri aria.
Europa o no. Si riapre cosi il dibattito tra chi vuole afferrare la mano che le istituzioni europee sono disposte a darle, a patto che la Spagna la chieda esplicitamente, e chi (Rajoy) orgogliosamente si rifiuta di chiedere aiuto, per non perdere sovranità, per non essere governato da Bruxelles. Lo Stato è stretto tra la difficoltà di reperire le risorse necessarie e il rifiuto degli aiuti esterni. Ma ha poi senso accettare un aiuto che potrebbe, secondo alcuni economisti, contagiare Italia e Francia? Come si vede, un dibattito dalle mille facce. Purché non porti all’inizio dell’implosione della Eurozona.