
Un paese un po' sgangherato

ROMA – “Un paese un po’ sgangherato”: questo il titolo dell’articolo di Giuseppe Turani per Uomini e Business.
Si puรฒ abbassare un poโ lโottimismo in circolazione (soprattutto presso i renziani doc)? Da qualche giorno corrono sui social network grandi festeggiamenti, con grida di giubilo, perchรฉ le cose vanno bene. Tutto gira intorno al fatto che vari centri internazionali molto rispettabili hanno alzato le stime di crescita dellโItalia allโ1,3 per cento per lโanno in corso.
E questa รจ di sicuro una buona notizia. Benvenuta due volte perchรฉ era tanto tempo che non si vedeva un poโ di sole sullโeconomia italiana. Perรฒ va detto subito che si tratta praticamente di una rondine che volerร solo nel 2017. E quindi non segnerร lโinizio di alcuna primavera. Giร nel 2018 si tornerร a scendere verso lโ1,1 per cento di crescita, che รจ un poโ la nostra condanna.
La pressione fiscale รจ sempre vicina al 50 per cento del Pil, anche se leggermente in diminuzione. Il nostro debito pubblico รจ sempre al di sopra del 130 per cento del Pil e ha una tendenza a crescere piรน che a diminuire. I disoccupati, infine, rimangono sopra il 10 per cento e diminuiranno piรน lentamente nei prossimi anni.
LโItalia, in sostanza, nonostante la buona congiuntura nella quale siamo capitati, continua a essere un paese problematico.
Pesano soprattutto due cose (fra le tante):
1- Il grande debito pubblico, che drena ogni anno risorse molto importanti (70-80 miliardi per pagare gli interessi), e che ci rende sensibili a qualsiasi crisi finanziaria internazionale. Eโ come andare a spasso con uno zaino di 70 chili sulle spalle: fino a quando il tempo รจ mite e la strada piana, tutto scorre abbastanza. Se comincia un temporale e la strada prende a salire, sono guai seri.
2- La nostra produttivitร che non cresce. Se non piace la parola produttivitร , usiamo efficienza complessiva del sistema (addirittura diminuita nel 2016). E qui le colpe vanno distribuite. La politica non riesce a fare un salto riformista in avanti, il sistema rimane lento, pigro, dominato da una burocrazia autoreferenziale che blocca qualsiasi slancio. E poi ci sono gli imprenditori, che vedono un panorama incerto di fronte a se stessi e che quindi lesinano su innovazione e cambiamenti. Certo, non sono tutti cosรฌ. Ci sono dei campioni di efficienza e di fatturati. Ma sono pochi.
Trascuro (oggi) lโelenco dei possibili guai a venire. Nel 2018 finisce il Qe, finiscono cioรจ gli aiuti di Draghi allโeconomia italiana e lโanno dopo al suo posto ci sarร un tedesco dei piรน duri e puri. Vorrei solo pregare di prendere nota che abbiamo meno di due anni di tempo per mettere le cose italiane un poโ a posto. In due anni non si puรฒ fare molto: non si puรฒ certo far scendere il debito pubblico sotto la linea del 100 per cento (oggi รจ al 132), ma un segnale importante andrebbe dato. Come andrebbe dato un segnale forte in materia di concorrenza: il decreto (approvato per la quinta volta dalla Camera) adesso va al Senato. Sempre che lร non si rimettano a discutere di leggi elettorali, cosรฌ lo perdono per strada.
Insomma, abbiamo di fronte i 18 mesi piรน delicati, nei quali dovremmo sforzarci di disegnare una specie di nuova Italia, e invece stiamo correndo verso una stagione di complessitร politica straordinaria, probabilmente improduttiva per quanto riguarda le riforme. Con il rischio di ritrovarci nel 2019 messi peggio di adesso, ma con un ambiente esterno piรน difficile.
Pessimista? Vi assicuro che in giro si leggono oroscopi molto peggiori di questo.
