
ROMA – Vincenzo Vita per il Manifesto dell’8 ottobre ha scritto questo articolo dal titolo “L’ultima stazione”:
GiĆ si era parlato di questa brutta faccenda. E āil manifestoā ci ĆØ tornato con un bel pezzo di Elena Tulipani. Inascoltati, nel nostro piccolo, ma in buona compagnia. La lettera inviata dallāUnione europea – critica rispetto al primo testo- ĆØ rimasta nei cassetti. Stiamo parlando della delibera dellāAutoritĆ per le garanzie nelle comunicazioni sulla dolente nota dei canoni delle frequenze televisive.
Pur con il voto contrario del Presidente Cardani e lāastensione del commissario Nicita, lāarticolato ha avuto il via libera. In luogo dellāuno per cento del fatturato, misura stabilita dalla legge n.488 del 1999 (approvata con molte difficoltĆ per aver osato ritoccare in su il calcolo da saldi estivi della vecchia legge MammƬ del 1990), il nuovo testo interpreta a sua modo la norma contenuta nellāarticolo 3/quinquies comma 4 del decreto n.16 di marzo 2012 , riducendo seccamente il dovuto da parte delle emittenti. Meglio, fa pagare le reti di trasmissione e non le aziende, dando cosƬ un aiuto sensibile a Rai e Mediaset.
Si può supporre che, non potendosi variare lāintroito complessivo per lo stato, gli altri broadcaster pagheranno di più. In particolare, subiranno un altro colpo letale le stazioni locali. Si dice, un risparmio di 10/15 milioni di euro per il duopolio (ex?). Ma non ĆØ del tutto vero, perchĆ© il meccanismo ĆØ progressivo e in base al cosiddetto āGlide pathā per questāanno i due trust la faranno franca. Non pagheranno nulla. āNon ti pagoā, si intitolava una delle commedie di De Filippo. Appunto, bravo Eduardo.
Il disastro televisivo continua e il conflitto di interessi pure. Mediaset va tutelata e lāanima gemella pubblica viene di conserva. Solo in apparenza, però. Infatti, il governo ĆØ in procinto di varare una proposta di legge (o un altro decreto?) tesa a rivedere la questione complessiva dei canoni, si dice. Che lāesecutivo ritocchi la decisione dellāAgcom pare improbabile (a che serve se no lāAutoritĆ ?), mentre ĆØ sicura la revisione della tassa dovuta alla Rai. Si dice che il chiacchierato canone del servizio pubblico verrĆ rivisto: una ridotta parte fissa e una parte ulteriore proveniente dai proventi della Lotteria. In pratica un dimezzamento. Nel frattempo, la raccolta pubblicitaria ĆØ scesa del 25% e la crisi economica non induce a speranze. E quindi? Dopo il taglio di 150 milioni di euro, il disco verde dato alla vendita parziale di āRaiwayā, la reale volontĆ di intervento si concretizza. Altro che Bbc.
Eā una secca ādiminutioā della parte pubblica, ottenuta con il bisturi finanziario e senza una consultazione aperta, del resto annunciata dal sottosegretario Giacomelli. A meno che il governo non riservi unāaltra sorpresa, infilando -magari in un decreto- la revisione della āgovernanceā. Di una seria riforma del sistema, neanche a parlarne. GiĆ , il conflitto di interessi, diventato lāanatomia della Nazione mediatica. A proposito. Eā arrivato in aula alla Camera dei deputati il testo di base ādavvero brutto, neppure meglio della legge Frattini in vigore – approntato dal relatore Sisto, di parte berlusconiana. Ci sono molti emendamenti, ma ci sarĆ qualche possibilitĆ di infrangere il pensiero unico televisivo? Lāaria non ĆØ buona e altre paiono le passioni di questa stagione.
La vicenda dello sconto sui canoni per le frequenze ĆØ una metafora di ciò che accade. āDio mio, come sono caduta in bassoā, si intitolava un film di Comencini interpretato dalla brava e sfortunata Laura Antonelli. E altrettanto ĆØ lecito dire dellāItalia, dove novantāanni or sono nasceva la radio. Pensate.
