
ROMA – Vincenzo Vita sul Manifesto del 24 settembre ha scritto questo articolo dal titolo “Editoria al fondo”:
GioÂvedì matÂtina alla Camera dei depuÂtati si terrà una conÂfeÂrenza stampa sulla crisi (finale?) dell’editoria proÂmossa unitariamente da: Alleanza delle cooÂpeÂraÂtive itaÂliane della comuÂniÂcaÂzione, FedeÂraÂzione della stampa, FedeÂraÂzione setÂtiÂmaÂnali catÂtoÂlici, FedeÂraÂzione dei liberi ediÂtori, AssoÂciaÂzione stampa online, Unione stampa perioÂdica, Cgil, ArtiÂcolo 21 e MediaÂcoop.
Vuole essere un appello al Governo e al ParÂlaÂmento per salÂvare il pluÂraÂliÂsmo dell’informazione nazioÂnale e locale. Mentre, infatti, si ipoÂtizÂzano Stati geneÂrali del setÂtore, riforme più o meno orgaÂniÂche, quaÂranta testate del mondo cooperativo e non proÂfit hanno già chiuso i batÂtenti e altri mille proÂfesÂsioÂniÂsti hanno perso il posto di lavoro.
InnuÂmeÂreÂvoli volte è stato denunÂciato un simile rischio, dopo i tagli costanti subiti dal Fondo per l’editoria, pur riviÂsto negli anni recenti con un’opera di moraÂlizÂzaÂzione dei criÂteri di attriÂbuÂzione dei contributi.
Si è pasÂsati da 506 milioni di euro del 2007 agli attuali 140, comÂprenÂsivi del debito con le Poste e della quota preÂviÂsta per le conÂvenÂzioni della Rai (non poteva il Governo tagliare 100 e non 150 milioni all’azienda pubblica?).
Il fondo pubblico per l’editoria è passato dai 506 milioni del 2007 ai 50 del 2014.
Quindi, ai giorÂnali vanno solo 50 milioni, che diverÂranno sì e no 40 il prosÂsimo anno. Per arriÂvare alla linea di galleggiamento ne manÂcano una setÂtanÂtina. MenÂtre i cosidÂdetti «Over the top» (GooÂgle e i suoi grandi fraÂtelli) prosperano, la carta stamÂpata muore. Il caso recente de l’Unità e quello annunÂciato di Europa sono le punte dell’iceberg di una deserÂtiÂfiÂcaÂzione allarÂmante. La conÂclaÂmata tranÂsiÂzione alla difÂfuÂsione on line e all’era digiÂtale ha effetti «collaterali» mostruosi: un cimiÂtero piutÂtoÂsto che un pranzo di gala.
Ecco, si chiede di vivere, di immaÂgiÂnare il defiÂniÂtivo pasÂsagÂgio alla staÂgione della rete come un perÂcorso da goverÂnare con sapienza; non come una resa inconÂdiÂzioÂnata agli «spiÂriti aniÂmali» del capiÂtaÂliÂsmo. Quest’ultimo –prima che sia troppo tardi, ci ammoÂniÂsce ThoÂmas Piketty nel suo straorÂdiÂnaÂrio recente volume — va conÂtrolÂlato demoÂcraÂtiÂcaÂmente. Qui sta il punto. Se si dovesse veriÂfiÂcare la moria delle testate meno inseÂrite nel «libero» merÂcato, sarebbe traÂfitta nelle fonÂdaÂmenta la costruÂzione dello Stato moderno. Altro che innovazione.
Senza una pluÂraÂlità di voci e di espresÂsioni culÂtuÂrali vinÂceÂrebbe un terÂriÂbile penÂsiero unico, degno del pasÂsato più oscuro.
Davanti a simile preÂciÂpiÂtaÂzione della crisi è doveÂroso un immeÂdiato interÂvento norÂmaÂtivo, in attesa della riforma. Serve una norÂmaÂtiva aggiorÂnata del sistema dei media, figlia di una staÂgione di sogÂgeÂzione alla teleÂviÂsione del conÂflitto di interessi.
Che senso ha spezÂzetÂtare l’iniziativa, interÂveÂnendo – ad esemÂpio — sul canone della Rai con un decreto legge (così parebbe, almeno), lasciando in agoÂnia decine e decine di quoÂtiÂdiani e perioÂdici?
Si riveda una volta per tutte la natura Fondo dell’editoria, traÂsforÂmanÂdolo in un vero e proÂprio Fondo per la libertà di inforÂmaÂzione, in grado di eviÂtare la caduta agli inferi delle comÂpoÂnenti fuori dal coro.
Dove si troÂvano le risorse? Si guarÂdino i bilanci del setÂtore inteÂgrato delle comuÂniÂcaÂzioni e si vedrà che non è così difficile.
E poi, un interÂvento dello stato –magari a terÂmine– rimane essenÂziale per conÂtriÂbuire al rilanÂcio dell’informazione. O si preÂfeÂriÂsce un’Italia via via marÂgiÂnaÂlizÂzata e senza culÂtura? LetÂtrici e letÂtori stanno dimiÂnuendo pesanÂteÂmente e un giorno dopo l’altro – come canÂtava Luigi Tenco — l’editoria esce di scena, senza nepÂpure lacrime e penÂtiÂmenti da parte di chi dovrebbe parÂlare, ma non dice e non decide.
