
ROMA – Non è un paese per innovatori. Anzi. Per quanto il Presidente-segretario dica e ridica, la realtà italiana – nella sua “pornografica” evidenza – è di un luogo arretrato e senza visione. Altro che futuro, siamo a un tuffo nel passato. Qualche esempio.
I giornalisti rischiano ancora il carcere per diffamazione, contro ogni indicazione europea. Numerose testate chiuderanno i battenti, se il Fondo per l’editoria non viene almeno un po’ rimpinguato e se non si governa la transizione dall’ambiente analogico a quello digitale. Il servizio pubblico radiotelevisivo –sulla base del disegno di legge del Governo ora al Senato- torna a più di quarant’anni fa: come allora, sotto l’egida del potere esecutivo.
Anzi. Quest’ultimo sembra il suggello della controriforma istituzionale in corso d’opera: verso un autoritarismo fatto di personalizzazione della politica e di uso stabile della cerimonia mediatica.. Ma riprendiamo il filo. Il “punto di catastrofe” è costituito dalla vicenda del Piano della banda larga e ultralarga. Qui è in atto qualcosa che sta tra il surreale e il drammatico. Telecom, Metroweb, ora Enel. Perché una simile colpevole confusione? Servirebbe un “compromesso positivo” tra i diversi soggetti –nazionali e locali (e sì, la fibra richiede il protagonismo dei territori)- con un indirizzo garantito dalla sfera pubblica: innanzitutto la “neutralità” della rete e l’accesso libero. Così, è lecito chiedersi come mai non si investa di più sulla produzione dei contenuti: la creatività c’è, eccome, ma deve battagliare con tagli e burocrazie.
La partita corre sul “filo” e sull’offerta di programmi, film e audiovisivi. E naviga nell’oceano crossmediale, multipiattaforma, riunificato dai linguaggi digitali. E’ in corso l”addomesticamento sociale” delle forme contemporanee di comunicazione: modalità e stili di consumo lontani dal piccolo mondo antico. Insomma, è in gioco un pezzo della democrazia materiale. Guai se all’evoluzione tecnica corrispondessero ulteriori pesanti divisioni culturali e sociali.
Per finire. La ministra Boschi ha rilanciato il tema –inquietante per la storia italiana- del conflitto di interessi. Ci sono testi in Parlamento, tutti migliori della normativa in vigore, debole e inutile. Se ne estragga uno a sorte e lo si approvi. A meno che il conflitto di interessi sia solo una metafora.
