Par condicio, non pervenuta, denuncia Vincenzo Vita in questo articolo pubblicato anche sul Manifesto.
Il sito dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha pubblicato i dati sulle presenze politico-istituzionali in televisione nel periodo 5-11 settembre. Siamo nel periodo di applicazione stretta della legge del 2000 sulla par condicio.
Il rischio per gli interessati è di arrivare tardi, quando ormai ogni riequilibrio è di fatto precluso. Un corretto monitoraggio dovrebbe essere frequente e divulgato come viene fatto con gli indici di ascolto. Insomma, in tempo reale, non virtuale.
Rimane, poi, elusa la regolazione dei social. Va rammentato che, dallo scorso sabato 18 settembre, è in vigore il divieto di rendere noti i sondaggi. E quest’ultima norma è stata in passato aggirata, con il ricorso a corse di cavallo, voti ai conclavi, e così via.
Torniamo all’ultima rilevazione nota, quella che corre dal 5 all’11.
Per l’enorme disparità di genere, la perseveranza diventa diabolica. Sul totale del tempo di parola nei telegiornali, il rapporto tra presenze femminili e omologhe maschili è del 13% contro l’87%. Nei programmi extra-tg siamo al 22% vs il 78%. La Lega è sempre maglia nera.
Del resto, la stessa Lega vince la gara sul tempo di notizia: 29,5% nel Tg1; 32,19% nel Tg2; 32,82% nel Tg3; 34,64% in Rainews. 19,35% nel Tg4; 30,33% nel Tg5; 33,59% a Studio Aperto; 20,35% nel TgCom24. 21,76% ne La7 (qui il tempo di parola arriva al 41,50%). 48,55% in Sky. 50% in Nove.
Nelle presenze delle diverse personalità, si vede molto il colore verde del Tg2, dove Salvini è secondo dopo Giuseppe Conte, come lo è negli extra-Tg, nei pressi di Giorgia Meloni.
Partito democratico senza infamia e senza lode, Sinistra-sinistra in basso o niente, presenza radicale – come talvolta la temperatura di Helsinki- non pervenuta.
Naturalmente, recupera abbondantemente Forza Italia sulle reti Mediaset, dove nella precedente stima sembrava curiosamente (vedi il caso di Studio Aperto) sottodimensionata.
Tuttavia, pur non disponendo di strumenti scientifici di conteggio, l’occhio forse un po’ paranoico ma attento del teledipendente coglie quotidianamente violazioni evidenti. Se si eccettuano le apposite tribune e – parzialmente- le edizioni dei telegiornali regionali della Rai, la tendenza consolidata è chiara: si privilegiano le candidature di maggiore successo (per i sondaggi) e si cancellano o si riducono al lumicino le altre. La strisciata quotidiana dei talk lo dimostra.
La legge 28 del 2000 è stata già cambiata, non nelle aule parlamentari, bensì nei e sui media. L’Agcom non reagisce? A lei spetta il massimo magistero dell’indirizzo e del controllo. O, nel frattempo, è stata modificata pure la l.249 del 1997 che istituì l’organismo?
Eppure, se vuole l’Agcom diviene spietata, come quando ha condannato la Rai per un impercettibile sforamento dei limiti pubblicitari. Coercizione a corrente alternata?
A questo punto della campagna elettorale non vi è altra opportunità per il ripristino delle pari opportunità se non l’individuazione di spazi ad hoc, in cui si recuperino volti e voci di protagonisti legittimi, privi di riconoscibilità.
E si facciano rispettare gli impegni presi dalle piattaforme sui sondaggi e sul silenzio elettorale.
La combinazione tra l’incertezza diffusa e il rifiuto della politica non può avere il suggello di una rappresentazione televisiva di pochi, per pochi. Quasi a ribadire che le elezioni riguardano, ormai, solo quote minoritarie della popolazione. Mentre la par condicio fu immaginata proprio per rendere trasparenti ed eguali i progetti in campo.
Attenzione, dunque. Di qui passa qualcosa di più del rispetto delle norme. Corre, infatti, una lotta sotto traccia ma rudimentale tra concezioni lontane e conflittuali della democrazia.