Par condicio, un amaro finale: Vincenzo Vita tira la somma in questo articolo pubblicato anche sul Manifesto.
Concludiamo la carrellata degli orrori sulle resistibili violazioni della legge n.28 del 2000 nel corso della campagna elettorale per le amministrative.
Vale a dire la debordante esposizione della Lega, vuoi per le vicende non commendevoli che hanno toccato il partito di Matteo Salvini, vuoi per la curiosa pratica lottizzatoria che risale al vecchio governo gialloverde (Conte uno). La Rai, in attesa di una vera riforma che la svincoli da tali logiche, segue scolasticamente la mappa consegnata dal sistema politico, con inerzie lunghe capaci di resistere ai cambiamenti della e nella stessa sfera pubblica. L’azienda di stato è tuttora un esempio di apparato autoreferenziale, insensibile alle scosse esterne, quando queste ultime non sono declinate secondo i riti consueti.
Dunque, ancorché la Lega sia ormai in fase discendente e piena di ammaccature, le voci di dentro legate al Carroccio sopravvivano e dettano l’agenda. Persino a scapito del Mov5stelle, cui pure andrebbe riconosciuto il primato parlamentare di questa legislatura e del partito democratico con i suoi consensi non enormi ma stabili.
Reggono i Fratelli d’Italia guidati da Giorgia Meloni, la cui fortuna mediatica fu un’operazione a tavolino finalizzata a frenare l’ascesa leghista. Macchinazione piuttosto miope, risoltasi nella benedizione ufficiale di un raggruppamento – come si sta vedendo- frequentato da aree esplicitamente fasciste.
A nulla, poi, sono servite le denunce della violazione di ogni parità di genere: nel tempo di parola il rapporto tra donne e uomini è dell’11% contro l’89%. Percentuale appena ritoccata (18% vs 82%) nelle trasmissioni extra-Tg.
Insomma, l’aria serena dell’agonia della par condicio ha dominato la scena.
Simile quadro continua nella fase dei ballottaggi, dove si procede a vista, secondo la sensibilità di conduttrici e conduttori.
Ancora una volta reggono più del previsto le apposite tribune politiche della Rai, che -collocate su scala regionale- ottengono uno share medio del 4% circa.
Purtroppo, imperversano nei telegiornali gli assurdi pastoni politici, vere e proprie carrellate imbarazzanti di volti con un frequente sguardo in macchina, ripetitori spesso di frasi artefatte. Fa tristezza, per chi ama la politica, scrivere così. Basta, però, usare il telecomando nelle ore canoniche per averne conferma. Non sarà quest’ultima la prima causa, ma neppure l’ultima, della disaffezione crescente che porta più della metà della popolazione a rifiutare il voto.
Pure essa dispone di rilevazioni costanti. La prova evidente di è venuta paradossalmente dall’audizione dello scorso martedì 5 ottobre del presidente Lasorella presso la commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai.
Una personalità di indubbia competenza istituzionale a capo della massima magistratura del settore ha affermato, rispondendo a taluni interventi, che la campagna elettorale è apparsa equilibrata dal punto di vista mediatico, tant’è che non vi sono stati ricorsi. E l’Autorità potrebbe intervenire solo su istanza delle parti, secondo una strana lettura del primo comma dell’articolo 10 della norma del febbraio 2000. Dove si chiarisce che le violazioni sono perseguite d’ufficio. Del resto, a che servirebbero altrimenti i monitoraggi svolti, sia pure non proprio tempestivi?
Qual è la lezione da trarre da affermazioni eccentriche rispetto alle indubbie qualità di Giacomo Lasorella? Un errore giuridico? Non può essere. Si tratta, piuttosto, di battute infelici frutto dello scarso interesse sul punto foriero di peccati di omissione.
Insomma, la par condicio sembrerebbe derubricata persino da chi avrebbe il compito di farla rispettare.
Un’altra delusione.