Ghidella rivoluzionò la Fiat auto nella fabbrica e nel prodotto

Nel 1978, la stanza C 14 al secondo piano della palazzina uffici dello stabilimento Fiat di Mirafiori è occupata da un personaggio “misterioso”. Vittorio Ghidella è un uomo di bassa statura, asciutto nel fisico e nei modi.

Il profilo del volto, a metà tra quello di Nuvolari e Valletta, denuncia un rigore che sfiora il misticismo. La targhetta sulla porta del suo ufficio recita: “Direzione autoveicoli Fiat”. Vittorio Ghidella si muove con circospezione ma intorno a lui si agitano e gonfiano indiscrezioni di ogni tipo.

Nato a Vercelli, laureato in ingegneria meccanica al politecnico di Torino, aveva manifestato già all’origine quella volontà che, continuamente esercitata, si sarebbe tramutata in una dedizione assoluta e esclusiva al ruolo. Una lente attraverso la quale tutte le capacita dell’uomo si concentrano per raggiungere gli obiettivi prefissati senza nulla concedere al contorno. Un micidiale strumento di guerra che lo avrebbe portato rapidamente dagli stanzoni dell’ufficio tecnico, dove la ripetitività e la parcellizzazione degli incarichi è in grado di fiaccare qualunque entusiasmo, alla direzione dello stabilimento del Lingotto.

Poi in giro per l’Europa. Amministratore delegato della RIV – SKF, incarico che mantiene anche quando la proprietà passa nelle mani degli svedesi. Ben disposti a mettere da parte ogni diffidenza pur di assicurarsi la competenza di quell’italiano atipico, così diverso dagli stereotipi profondamente radicati nel nord Europa, capace di coniugare rigore e competenza e che ha fatto dello svedese la sua seconda lingua.

Arriviamo al 1978. La telefonata di convocazione del presidente della Fiat lo raggiunge a Chicago. Sta per essere nominato amministratore delegato della Allis, la divisione macchine movimento terra della holding torinese. Cerca una casa e l’ha appena trovata. Una villa in legno. Una staccionata intorno, il lago Michigan di fronte. L’Avvocato lo chiama a Torino. E’ lui l’uomo destinato a prendere in mano il settore auto al posto di Nicola Tufarelli.

Alla fine degli anni 70 non si parla ancora di “fusione fredda” ma ben presto a Mirafiori imparano a fare i conti con la “passione fredda” di Vittorio Ghidella, il nuovo amministratore delegato della Fiat Auto. Apparentemente una contraddizione in termini. La passione, specie quella per l’auto, è calda, addirittura rovente. Qualche volta aiuta a superare gli ostacoli, più spesso a trascurare i conti.

La “passione fredda” di Vittorio Ghidella è il frutto di una rara combinazione di competenza e entusiasmo in salsa pessimista, guarnita con un pizzico di cinismo. E’ la ricetta di quella pozione magica che avrebbe consentito di riprendere in breve tempo il controllo di una struttura gravemente compromessa. Con oltre il 60 per cento di quota sul mercato interno la Fiat è ancora un costruttore monopolista ma la redditività è insoddisfacente. L’ingresso di Gheddafi nell’ azionariato contribuisce a sanare una congiuntura economica e finanziaria ai limiti del collasso ma costa cara sul piano dell’immagine internazionale.

E’ raro trovare Ghidella nel suo ufficio al secondo piano di Mirafiori. Dopo Nicola Tufarelli, amministratore delegato senza patente, arriva Vittorio Ghidella che la patente ce l’ha. Eccome.

Sale in macchina, parla il linguaggio dei collaudatori: “le auto si giudicano con il culo !”.

Costruisce la sua immagine procedendo dal basso verso l’alto, con il vantaggio di far leva sulla Fiat più sana, quella delle “corporazioni e dei mestieri”. Si procura le informazioni direttamente alla fonte, saltando ogni mediazione che, secondo un principio di indeterminazione, valido nei rapporti personali come in fisica, modifica necessariamente il contenuto del messaggio.

Non c’è spazio per superficialità ed approssimazione. Le domande dell’Amministratore Delegato, spietatamente sequenziali, richiedono risposte motivate e precise. Perché ad ogni incertezza si infittisce una tela di ragno nella quale la vittima si avvolge sempre più mentre lotta per liberarsene.

I comitati direttivi perdono la consolidata ritualità per assumere l’aspetto di psicodrammi nei quali le tensioni che prima si esaurivano nelle mediazioni di corridoio, esplodono con pubblica, inaudita violenza.

Dalla progressiva demolizione delle sovrastrutture riemerge il vero ruolo dell’amministratore delegato: arbitro unico del raggiungimento del punto di equilibrio più favorevole tra le diverse funzioni aziendali in rapporto al mercato. Per la prima volta ingegneria di prodotto, sperimentazione e produzione fanno capo ad un solo ente iniziando un nuovo modo di intendere la progettazione, sintetizzato in quello slogan: “progettare per produrre”, che riassumerà in pieno la filosofia del motore FIRE.

Vittorio Ghidella guida l’automobile. Di più, guida tutte le automobili che gli arrivano a tiro. Una insaziabile voracità di esperienze, una puntigliosa attenzione al dettaglio incrociata con la lucidità necessaria per passare dal particolare al generale e, soprattutto, la capacità di identificarsi senza riserve con il cliente, infrangendo le sbarre di quella gabbia di tecnicismo che isola la Fiat dal mercato.

Vittorio Ghidella la libera da quel complesso di superiorità nato, coltivato e cresciuto nella convinzione dell’esistenza di una subordinazione culturale del cliente rispetto alla fabbrica. Al volante dimentica ruolo e competenze, condizionamenti e politiche di marketing, riuscendo così a valutare aprioristicamente il prodotto e diventando di conseguenza il primo garante dei desideri e delle aspettative del cliente. E’ questo il contesto che rende possibile il “miracolo Uno”.

Chiunque in quegli anni volesse andare da  Torino per Genova a Roma, percorrendo l’Aurelia, giunto all’altezza di Livorno doveva prepararsi ad affrontare il colle Salvetti. Un “ottovolante” fatto di curve e controcurve, di salite e discese. Vittorio Ghidella va su e giù da “Colle Salvetti” al volante dei prototipi che prefigurano la futura Uno.

Auto sorprendente, la Uno. In fabbrica lo chiamano effetto “Eta Beta”. Nei suoi minuscoli calzoncini la creatura di Walt Disney nasconde un intero supermercato. La Uno fa lo stesso effetto. Una utilitaria fuori ma, all’interno, un confort da fare invidia all’ammiraglia dell’epoca, l’Argenta. E’ il risultato della perfetta intesa tra Ghidella e Giugiaro che subito si traduce in motore di innovazione.

Ci vuole coraggio ad alzare il piano di seduta per aumentare lo spazio a disposizione dei passeggeri senza intervenire sugli ingombri in pianta ma semplicemente sfruttando la maggiore altezza della vettura. La Fiat, nel 1968, grazie a Pio Manzù,” ha proposto uno studio per un taxi che anticipa questa soluzione e Giugiaro riprende lo stesso concetto nel 1978 con la Megagamma. Con la Uno l’utopia del passato si trasforma in realtà produttiva e commerciale. La Fiat ritrova il coraggio di innovare. Nasce il marketing moderno, non più volto soltanto a soddisfare i bisogni dell’utente ma piuttosto ad anticipare e orientare desideri non ancora espressi.

Giovanni Agnelli, con una punta di derisione, lo chiama il “monaco” per la dedizione al mestiere, certamente, ma anche per la scarsa propensione al sorriso e per un atteggiamento improntato ad un esasperato realismo che qualcuno, il presidente della Fiat tra questi, interpreta come la manifestazione di un pessimismo potenzialmente distruttivo.

In una azienda nella quale l’ attenta lettura di Novella 2000 si rivela più utile della perfetta conoscenza dei “paper SAE” al fine di incuriosire e compiacere i propri capi, Vittorio Ghidella rappresenta un corpo estraneo.

Il suo stile di vita, improntato ad un rigore che si trasferisce senza mutamenti di rilievo dall’ufficio al secondo piano della palazzina di Mirafiori alla villa di viale Curreno nella precollina di Torino, dove abita con la moglie Giuliana e la figlia Amalia, la ristretta cerchia di amici. scelti con attenzione al di fuori dell’ambiente Fiat, non contribuiscono certo a farlo accettare in una comunità che per legittimare la propria esistenza si affida più alla formalità del rito che alla sostanza dell’azione.

Poco incline al sorriso Ghidella non cambia espressione neppure quando, nel 1987, presenta all’avvocato un bilancio record. Agnelli e Romiti , interpretano il brillante risultato come una opportunità di ulteriore diversificazione del gruppo da perseguire attraverso nuove acquisizioni.

Ma la diversificazione è anche il mezzo per contrastare l’ascesa di un manager che sembra ormai inarrestabile. Nel 1987 il peso dell’auto all’interno della Fiat è in continua crescita e la stampa ha ormai sancito l’equazione: auto = Ghidella e la Fiat Auto si propone sempre più come una regione a statuto speciale in grado di offrire ai suoi abitanti tutta una serie di benefici che accentuano e rafforzano lo spirito di corpo. E di intollerabile indipendenza.

Ma qui comincia una altra storia, ancora tutta da raccontare.

Published by
Marco Benedetto