Checco Zalone: “Il futuro delle fiction? Non farle più”

Checco Zalone

ROMA -Il futuro della fiction? “Non fare più le fiction”. Parola di Luca Medici, in arte Checco Zalone, che così, con una battuta scherzosa, interviene a sorpresa ad un dibattito sulla fiction italiana promossa nell’ambito del Festival della tv e dei nuovi media in corso a Dogliani.

Interpellato telefonicamente dal produttore Pietro Valsecchi, Luca Medici ha indicato la sua ricetta per il futuro della fiction. “Ho visto molte scimmiottature di produzioni estere, in particolare americane. Io resterei sull’italiano rilanciando il nostro Paese nella fiction senza scopiazzature”. Insomma la stoccata di Checco Zalone non è passata inosservata e soprattutto è apparsa come una critica ben diretta ad alcune produzioni italiane che di fatto non sono altro che il remake di alcune serie televisive americane che spesso trovano difficoltà ad imporsi tra i gusti dei telespettatori.

Tu ridi tanto nella vita. Ma i comici non sono tutti tristi?
“Non è vero. È che ogni volta che ne incontri uno vorresti che ti facesse ridere. Non accade e dici: quello è triste. Io solo al cinema non riesco a ridere. Non vado a vedere i comici perché mi immedesimo, mi preoccupo, mi imbarazzo per loro. Insomma per me è una sofferenza. L’unico sempre allegro è Fiorello”.

La tua comicità è di “serie B”? C’è chi, maliziosamente, ti paragona ai cinepanettoni.
“Quelli sono tentativi di comicità grottesca. Ma io credo che il solo grottesco che in Italia abbia funzionato sia Fantozzi. Pensa alla scena in cui in cui beve al casinò, diventa una palla e vola”.

Il tuo modello è Sordi?
“Sì. Più di Totò, più di Troisi. È lui ad avere incarnato, in modo straordinario, tutti i difetti d’Italia. È il più grande”.

Il dottor Tersilli negli ospedali, l’uotzamerican di Nando Moriconi, e c’è Sordi a Montecitorio, Sordi in ogni anglofilo, Sordi in ogni vanitoso, pauroso, rinunciatario…
“Sordi in ogni italiano. E sono arte raffinatissima la sua gestualità, la sua mimica facciale, le sue invenzioni. Tutte le emozioni della vanità sono raccontate con tante piccole smorfie quando, nel Vigile, Sylva Koscina dalla tv lo saluta e gli dedica Il tuo bacio è come un rock. Ed è magnifico ne Il Vedovo. È sublime in Una vita difficile. Sordi è il mio modello inarrivabile”.

E però sei già riuscito ad entrare nell’immaginario italiano, grazie alla gestualità e alla mimica. Forse più di lui sei una maschera naturale: fai ridere anche se stai zitto. Ma Sordi è stato diretto anche da grandi registi.
“A me e a Nunziante già alla parola “registi” ci viene da ridere. È una spocchia tutta romana. Se vai su un set romano vedrai i cinematografari, vale a dire i tecnici, i macchinisti, che trattano l’attore e il regista come Padreterni. Noi ci prendiamo in giro. Ricordi quella battuta di Woody Allen? “Ogni volta che un mio film ha successo mi domando come ho fatto a fregarli ancora””.

Ecco perché non riesci a leggere i libri su di te. Ma ci sarà un regista o un autore di qualità con il quale vorresti lavorare?
“Non mi sento pronto per quello. E poi non vedo tante grandezze attorno, non mi pare che ci sia un nuovo Dino Risi…”.

Dove scrivete i film tu e Gennaro Nunziante?
“Ci vuole un luogo dimesso, non troppo povero, un poco triste”.

Un residence romano?
“Bravo. Nel mio ci sta anche Freccero. Io non lo conoscevo. Ma mi piace molto questo signore che mi dà una pacca sulla spalla, dice qualcosa di molto intelligente e se ne va via di fretta”.

Perché non ti trasferisci a Roma?
“Mai. Non ci riuscirei”.

Prigioniero della pugliesità?
“No. Anzi mi irrita la retorica di chi dice: “siamo speciali perché siamo pugliesi”. È che ci sto bene”.

E però, quando vieni a trovare il tuo amico e produttore Pietro Valsecchi, arrivi carico di mozzarelle. Come se fossero la tua identità.
“Prima ne portavo di più. Ed ero anche più umile. Lui aveva una cameriera filippina che, appena mi vedeva, mi diceva in filippino: “Sbrigati, ragazzo, che in cucina aspettano”. Insomma mi trattava da subfilippino”.

Un pugliese senza mozzarella è come la brasiliana della tua canzone, invalida civile per mancanza di booty. Lì c’è il pianoforte che Valsecchi tiene in casa per te. La suoni e la canti per i lettori di “Repubblica”?
“Sono alta sono bella son gentile / sono a tipica ragazza do Brasile /a cantare, a ballare no problema/ me ne futto della ragassa de Ipanema/c’è una cosa che però mi rende trista /c’ho una malattia che qui non s’è mai vista /in Brasile io sono l’unica mulatta/che a natura ha messo al mondo cula piatta”.

La canzone non è solo divertente. Al concorso per diventare “intellettuale cozzalone” di prima fascia porterei una tesi sulla cultura dell’identità comparando Orlando Figes (“La danza di Natasha”) e Checco Zalone (“Samba a culu piattu”).
“Cozzalone pure tu. Pensa che bocciarono una mia canzone per Sanremo perché immaginavo un farmaco per affrontare la stepchild. Ma se scrivi questo poi devi fare una nota a margine per spiegare che Zalone non è un cavernicolo. Con la mia faccia”.

Cosa sai di Cesare Lombroso?
“È un personaggio che mi affascina. Sogno un film intitolato: Lombroso aveva ragione”.

Stai andando a Londra con il tuo mitico produttore.
“Il mio film arriva nelle sale. Quando l’abbiamo proiettato all’Istituto di Cultura, in italiano con i sottotitoli, ero tutto contento perché in tantissimi ridevano. Poi ho scoperto che erano tutti inglesi di Molfetta”.

Sai che ci sono zaloniani di destra e zaloniani di sinistra?
“Capitò anche a Marx”.

Hai mai votato a sinistra?
“Votai per il governo Prodi”.

E per Berlusconi?
“Una volta ho votato per il centrodestra. Ma ho una grande tenerezza per i berlusconiani, per l’ingenuità di quelli che davanti alle sue malefatte più evidenti continuano a credere nella rivoluzione liberale. Mia zia Lina è così. È la sorella di papà. Poliziotta. In pensione come vicequestore. Mi ha fatto studiare. A lei devo la laurea in legge. Ora, che ha 80 anni, è ancora berlusconiana. Nasce da qui l’affetto commosso che c’è nei miei film per gli italiani berlusconiani”.

La zia Lina ti costringeva a studiare?
“Ancora adesso vorrebbe che facessi il concorso in magistratura”.

Con che voto ti sei laureato?
“104. Non è un granché, ma lavoravo. Facevo, come papà, il rappresentate di medicinali. E la sera cantavo in pizzeria per 70 euro. Sono stati gli anni più bui della mia vita. Allora andavano di moda i cerotti sul naso per non russare. Li aveva usati non ricordo quale calciatore. Ovviamente non funzionavano. Ma nelle farmacie ne ho piazzati tantissimi. Poi però quando tornavo scoprivo che non li aveva comprati nessuno. E me li tiravano dietro”.

Cosa ti piaceva della Giurisprudenza?
“Il Diritto penale, che è filosofia: il reato, la legittima difesa, e poi, ovviamente, mi affascina l’incapacità di intendere e di volere”.

Zia Lina è sempre stata di destra?
“Lina, tanto per intenderci, viene da Rachelina”.

Tutti a destra in famiglia?
“Dal lato di papà, sì. Il nonno, che era capostazione e dunque aveva diritto al don – don Pasquale – era di destra. E, per via del cognome Medici, coltivava la leggenda di una discendenza da Giovanni dalle Bande Nere”.

E mamma Antonietta Capobianco, segretaria di scuola?
“Antonietta una volta si presentò nelle liste del Pci. Prese 27 voti. Perché a Capurso i Capobianco erano 27”.

È ancora socialmente impegnata?
“Per adesso è arrabbiata con la Fornero, che la sta costringendo a lavorare due anni di più: è del 1951. E poi ce l’ha con me. Vorrebbe l’indennità per il figlio famoso perché dice che nessuno le fa più lo sconto”.

Sei ricco?
“Ho comprato quattro case. In una a Capurso ci stanno i miei genitori. Io sto a Bari, di fronte al mare”.

Fai il bagno lì?
“Dicono che in città il mare è inquinato. Il risultato è che si bagnano i ragazzacci. Noi “vip” non lo facciamo”.

Hai conti a Panama?
“Sono ancora troppo sfigato per quello. Ma ho un conto a Capurso, uno a Triggiano, città natale della mia compagna, e uno al Credito cooperativo di Conversano. E sono preoccupato perché forse sono operazioni estero su estero”.

Chi ti ha insegnato a recitare e a suonare?
“A recitare nessuno. A suonare, papà. Aveva messo in piedi un complesso, Gli amici del Sud. Il mio repertorio era il loro: soprattutto i Beatles, ma anche i Giganti, i New Trolls, i Nomadi?Avrei voluto fare il Conservatorio. Pensa che ancora oggi non leggo la musica”.

Chi te lo ha impedito?
“Io in casa non facevo che suonare. E mia madre entrava e agitando l’indice diceva: “Da lì non ci ricavi il pane” “.

E quando hai cominciato ad avere successo?
“Fermava la gente sulla porta: ssss, silenzio, sta componendo “.

Il web è pieno di tuoi aforismi
“Molti sono falsi. Cose che non direi mai”.

Per esempio?
“Che caldità. Che comportazione è questa. Non sono i miei “errori”, quelli che io chiamo “errori poetici””.

Il modello originale è “Sarei un ipocrita se dico il viceversa”, oppure “Scusi, della ‘Che Guevarà c’avete anche i borselli?”. I falsi Zalone sono come le borse false di Fendi.
“Ce n’è pure qualcuno che mi piace. Quando, per esempio, Brunetta cercò di arruolarmi in Forza Italia e mi paragonò a Berlusconi, sul web uscì questa risposta: io faccio ridere solo in Italia, lui in tutto il mondo. Era buona, ma non era mia”.

In fondo queste patacche sono riconoscimenti che valgono più di un David di Donatello.
“Quello certifica menzogne, questi pataccano la verità “.

Checco Zalone imita Adriano Celentano
Published by
Gianluca Pace