Continuano a girare voci discordanti sul “caso Semenya”, l’atleta sudafricana sulla cui identità sessuale si discute da settimane.
Mentre il governo sudafricano ha chiesto all’Onu che indaghi sulla violazione dei diritti subita dall’atleta diciottenne, vincitrice ai Mondiali di Berlino dell’oro negli 800 metri, la stampa locale ha scoperto che i vertici della Federazione Sudafricana di Atletica (Asa) sapevano che erano stati fatti test a Pretoria per stabilire l’identità sessuale della ragazza.
Uno scambio e-mail pubblicato dal Guardian tra il medico della Federazione, Harold Adams, che è anche il fisioterapeuta del presidente Zuma, e il general manager dell’Asa, Molatelo Malehopo, ed inviato per conoscenza anche al presidente, Leonard Chuene, rivela che il medico ricevette indicazione perchè venissero fatti i test.
Secondo una fonte anonima, il 9 agosto, quando il team arrivò in Germania, Adams ricevette una chiamata che lo informava che non c’erano «buone notizie», per cui il medico consigliò di ritirare l’atleta, ma la federazione si rifiutò. «Adesso so che è stato un errore di giudizio e voglio scusarmi incondizionatamente», ha detto Chuene in una conferenza stampa convocata per spiegare l’accaduto.
La scorsa settimana la stampa australiana ha scritto che i risultati dei testi dimostrano che Semenya ha un ermafroditismo causato dalla Sindrome di Insensibilità agli Androgeni, per cui ha caratteristiche tanto femminili che maschili (testicoli interni e genitali femminili esterni).
Tra l’altro Wilfred Daniels, ex allenatore dell’atleta, ha raccontato che fu fatto credere alla Semenya che sarebbe stata sottoposta a un routinario controllo antidoping. «I test durarono quasi due ore e furono umilianti», racconta, e la giovane rimase sconvolta quando furono scattate fotografie delle sue parti intime alla presenza di un team di medici.
