ABBOTTABAD (PAKISTAN) – Dopo oltre un giorno e mezzo di lavoro, è stata “completata la demolizione della palazzina a tre piani di Abbottabad, una cinquantina di chilometri a nord di Islamabad, che durante la sua latitanza fu a lungo il covo dove Osama bin Laden rimase nascosto insieme alle tre mogli e ai nove figli: lo hanno riferito in via riservata fonti delle forze di sicurezza pakistane, che mai hanno cessato di montare la guardia intorno al complesso fin da quando, il 2 maggio dell’anno scorso, vi fecero irruzione le forze speciali Usa appartenenti al ‘Team Six’ dei Navy Seals, uccidendo il fondatore di ‘al-Qaeda’.
Soltanto il muro esterno è rimasto in piedi, “almeno per il momento”, hanno precisato le fonti, che hanno inoltre dichiarato di ignorare che cosa ne sarà. E’ stato infatti ingiunto loro di “rimanere schierate” a sorvegliare il sito “fino a nuovo ordine”, e di “rimuovere prima di tutto i detriti”. Questi ultimi sono peraltro invisibili dalla strada, essendo nascosti dal muraglione superstite, alto circa 6 metri: si possono avvistare soltanto salendo sui tetti degli edifici vicini.
Le operazioni di abbattimento erano iniziate la sera di sabato 25 febbraio, al riparo da sguardi indiscreti. Le autorità del Pakistan, per il quale il blitz americano è stato l’umiliazione forse più cocente mai subita, hanno voluto evitare che l’ex covo di bin Laden rimanesse intatto fino al primo anniversario della sua morte: in mancanza di una tomba, la salma dello ‘Sceicco del Terrore’ essendo stata sepolta in mare aperto da qualche parte nell’Oceano Indiano poche ore dopo la sua uccisione, c’era il rischio che il complesso potesse diventare una sorta di ‘santuario’ per gli integralisti islamici del mondo intero, e non solo per i locali Talebani. Già da tempo costituiva infatti la meta di una sorta di pellegrinaggio per centinaia di fanatici. “Nel palazzo non abbiamo trovato nulla”, hanno proseguito le stesse fonti anonime. “Era già stato portato via tutto degli esperti che stanno effettuando le indagini”.
La zona, un sobborgo chiamato Bilal, paradossalmente si estende ad appena 1.300 metri in linea d’aria dall’Accademia Militare, la più importante del Paese. Nonostante si tratti di un quartiere relativamente agiato e tranquillo, è privo di una scuola femminile: è esattamente questa, meglio ancora se sarà un liceo, che gli abitanti vorrebbero fosse eretta sul luogo dove finora sorgeva il rifugio dell’antico numero uno del terrorismo internazionale. “Sarebbe il migliore messaggio al mondo, dal momento che i fondamentalisti sono contrari all’istruzione femminile”, è stato infatti il commento della collettività. Non è la prima volta in cui nel tormentato Pakistan si ricorre alle ruspe per cancellare un passato scomodo. Per esempio, così agì a suo tempo già il generale Muhammad Zia ul-Haq, il dittatore che aveva preso il potere con il colpo di Stato militare del 1977, e che due anni dopo fece impiccare l’ex primo ministro Zulfikar Ali Bhutto nel carcere di Rawalpindi dov’era rinchiuso.
Zia ul-Haq ordinò di distruggere la struttura, e di trasferire altrove il centro di detenzione. In seguito il Partito Popolare del Pakistan, cui apparteneva Bhutto e che sarebbe poi stato guidato dalla figlia Benazir fino alla morte in un attentato alla fine del 2007, cercò di promuovere la costruzione di un memoriale sul luogo del patibolo, ma a un certo punto i lavori furono sospesi e il sito trasformato in un parco pubblico intolato invece a Muhammad Ali Jinnah, padre fondatore del Paese dopo la fine del dominio coloniale britannico e la conseguente separazione dall’odiata consorella India.
(Foto Ap/LaPresse)